Giorgio Pirazzini, PACO A PARIGI

Un gruppo malassortito di uomini si trova a trascorrere una notte di scorribande tra i bar di Parigi, che culmina in un locale dove è in corso la finale di un concorso di bellezza per drag queen. Tra pugili dal cuore propenso all’innamoramento rapido, omosessuali timidi, autisti che fuori dagli orari di lavoro utilizzano auto di lusso per scopi personali, e tutti a livelli alcolici altissimi, non è difficile immaginare che qualche imprevisto possa profilarsi all’orizzonte. Giorgio Pirazzini, scrittore e sceneggiatore, è bravissimo nel trascinare il lettore in una corsa notturna che ha il ritmo indiavolato di un vagone in picchiata sulle montagne russe, con tanto di brusca frenata finale.

Giorgio Pirazzini, PACO A PARIGI

Passeggio per il boulevard con gli occhi verso il cielo perché Paco mi ha specificato che l’insegna “Brasserie de la lune” è molto in alto, all’altezza dei fili elettrici che si incrociano sopra le nostre teste.

Arrivato davanti sbircio dalla vetrina per controllare che Paco sia già arrivato. Non lo vedo e continuo a camminare come se niente fosse. Mi fermo qualche metro più avanti e mi accendo una sigaretta, preferisco non entrare da solo nei locali dove Paco mi dà appuntamento.

Tengo la mano libera nella tasca del cappotto e mi sbrigo a finire la sigaretta perché si gela. La getto contro un albero, la brace esplode in lapilli che si spengono a contatto con la sottile lastra di ghiaccio che ricopre il marciapiede. Un facchino mi passa di fianco con una carriola di cartoni e sputa a un metro dalla mia gamba. Paco è in ritardo di un quarto d’ora sul ritardo programmato di mezzora.

Fa troppo freddo, entro e vado al bancone, intirizzito. Mi sfrego le mani e cerco di attirare lo sguardo del barista che sta chiacchierando con due arabi.

«Una mezza, per favore,» lo interrompo. Probabilmente parlano da ore, sempre chiusi in questa brasserie invece di andare a casa dalla moglie. Chissà cosa trovano da dirsi per così tanto tempo?

Il barista si risveglia e mi guarda con stupore perché non mi conosce.

«Leffe o Kro?»

«Leffe.»

Di solito prendo la Kronenbourg perché è un po’ più leggera ma Paco prende sempre la Leffe, e poi lo imito perché invidio la sua birra più densa e profumata e lì cominciano i mischioni che vanno avanti per ore e che mi trapanano il cervello il giorno dopo.

Mi sistemo nella veranda protetta dai vetri e riscaldata a fumare e leggere il primo giornale che trovo. Alzo gli occhi e vedo Paco che mi sorride dall’altra parte della strada e viene verso la porta di entrata del bar.

«Moi, je n’aime pas les arabes,» urla per farsi annunciare quando entra nel bar. Rabbrividisco, ma il barista ride, lo saluta calorosamente e gli spilla una Leffe.

«Allora, boludo, come andiamo?» dice quando mi raggiunge in veranda.

«Tutto bene, tutto tranquillo. Lavoro un po’ troppo e non arrivo mai a casa prima delle otto ma speriamo che passi. Tu come va? Lavori?»

«Faccio l’autista per un’azienda di colombiani,» non gli chiedo i dettagli, «e sto montando uno spettacolo. Tre atti da tre racconti di Bukowski.»

«Ah, a me piace tantissimo Bukowski,» dico.

Paco abbassa gli occhi e sforza un sorriso che mostra che gli manca un canino.

«Scusa ancora, non so che mi è preso.»

«Non stava simpatico neanche a me. Però Marion è ancora incazzata come una pantera.»

Tre mesi fa lui stavamo bevendo qualcosa con amici nella terrazza di una brasserie di Abbesses e lui ha tirato un bicchiere da pinta pieno di birra a un amico di Marion che aveva detto che Bukowski è sopravvalutato. L’altro ha reagito per conservare la dignità ma senza l’intenzione di fare a botte. Paco ha detto che se ne andava perché “altrimenti si innervosiva”. La pinta lanciata l’ho pagata io mentre Marion, furiosa (con me), mi aspettava sul marciapiede dall’altra parte della strada.

«Lascia perdere. Dai, dimmi qualche maialata, qualche cochonneries

Sorride e mi mostra di nuovo che gli manca il canino.

«Macché cochonneries, boludo, mi sposo.»

Silenzio.

Paco è già sposato, anche se l’ho scoperto da poco. Si è presentato all’altare il giorno che ha compiuto diciotto anni fa, lui sostiene per amore anche se alla fine lui ha rimediato il passaporto francese e lei quello argentino e infatti lei adesso vive in Argentina. Coincidenze, dice. Non hanno mai divorziato. Anzi, dice che gli è comodo nella dichiarazione dei redditi e fa bella figura sul curriculum, fa serio.

«Scusa?»

«Mi sposo, boludo

«Ma se tu e Marie non convivete nemmeno,» dico. Io detesto Marie e Paco è il ragazzo ideale da augurare a una donna che si detesta.

«Macché Marie, mi ha lasciato dopo la storia della mascella.»

Due mesi fa si è rotto la mascella e da allora ha cominciato un percorso dentistico di diversi mesi, per sua fortuna pagato dalla sanità francese. Per quello gli manca il canino, devono ancora ricostruirglielo o forse riattaccarglielo nel caso che lo abbia ritrovato per terra. Lui racconta una storia palesemente auto-fabbricata che era ubriaco, è inciampato ed è caduto di faccia contro lo spigolo del marciapiede.

«Con chi ti sposi, allora?»

«Con Martine.»

«Chi è Martine?»

«La mia ragazza.»

«Chi è?»

Viene verso di noi un efebo giovanissimo a braccia spalancate. È sicuramente minorenne, almeno sembra, anoressico, due orecchini per lobo e i capelli sparati verso l’alto. Si muove ancheggiando tutto il corpo e lascia sempre la mano destra a penzoloni davanti al busto, come se mostrasse lo smalto con la bandiera americana dipinta su tutte le unghie. Si abbraccia e si bacia con Paco.

«Allora la finale delle drag queen?»

«La finale è stasera. Era la semifinale. Ne ho spompinate due. Valgono come donne?» ride, mi guarda e mi porge la mano molliccia da stringere come se gli facesse schifo. «Louis, enchanté

Louis si siede in un tavolo accanto al nostro e interrompe continuamente la discussione fra me e Paco perché non sopporta non esserne il fulcro. Qualche volta ci scambiamo uno sguardo di imbarazzo perché è tanto tempo che non ci vediamo e preferiremmo fare due chiacchiere da soli per mezzora. Ma Louis non lascia scampo.

Paco e io parliamo a spezzoni di questa Martine mentre Louis armeggia con il proprio cellulare. Prima di essere interrotto, riesce a dirmi che è stato amore a prima vista anche perché Paco non elabora i sentimenti, sono colpi di frusta, e che hanno deciso subito di andare a vivere assieme.

Louis lancia sul nostro tavolo il telefonino che sbatte contro il posacenere.

«Sono queste qui le drag queen di ieri sera.»

«Oh, questa l’avrei scopata anche io,» dice Paco indicando una ragazza sullo sfondo della foto.

«Scemo, quella è una donna vera,» risponde Louis.

Un uomo sulla cinquantina con la pancia, le guance da bulldog, pelato e con un giornale di gossip in mano entra nella veranda e si guarda a destra e a sinistra, palesemente finge di non accorgersi di noi per i primi secondi, poi alza un braccio per salutare Paco.

«Oh, Gonorrea,» Paco si alza per salutarlo e si fanno la bise.

Gonorrea prende una sedia da un tavolo dietro di me e si accomoda con noi. Non mi dice niente ma mi fa un sorriso dolce.

«Digli che non parlo francese,» dice a Paco in spagnolo.

«Parlo spagnolo, non ti preoccupare,» dico e lui di rimbalzo mi dà la mano.

«Lui è Gonorrea,» dice Paco presentandomelo. «Il est simpa, mais il aime la sodomie,» mi dice in francese. Gonorrea sorride, schernendosi dolcemente, fiero di amare la sodomia. «Moi aussi j’aime la sodomie, mais…» conclude ridendo.

La situazione è di nuovo in stallo.

«Allora, come va al circolo dei colombiani?» dice Paco.

Gonorrea non risponde propriamente, fa dei sorrisi in cui balla la carne flaccida delle guance, agita le mani, alza le spalle e apre le braccia. Ha un linguaggio corporeo straordinariamente loquace e non c’è nessun bisogno di parole per capire che va male al club dei colombiani.

Arriva il barista Sahid e ci chiede se vogliamo un’altra birra. Paco l’ha finita da un pezzo, io inghiotto l’ultimo sorso e annuisco con il capo, Paco dice a voce alta “due” e Gonorrea alza una mano timidamente e Sahid capisce che ne vuole una anche lui.

«Tu che vuoi, Principessa?» dice a Louis che non lo considera.

«Allora, al circolo dei colombiani?» insiste Paco.

Gonorrea scuote la testa sorridendo mestamente, fa una smorfia con il viso, agita le mani e scuote ancora di più la testa. Va davvero male al circolo dei colombiani.

«Ma ci sono problemi?»

Gonorrea alza le spalle, dondola il capo, soffia e dice rassegnato: «Eh, la vedova Montero,» poi fa il gesto di “così così” con la mano.

«Si rifiuta ancora di uscire di casa? Mi dispiace,» Paco finisce la sua frase e Gonorrea gli apre un sorriso pieno, contento di non dovere aggiungere nulla. Ricominciamo a parlare di Martine fra noi mentre Gonorrea sembra felice di restare in silenzio e in compagnia.

Martine l’ha conosciuta un mese fa, dicevamo. Non ho idea di cosa faccia ma sembra che non beva, non ami uscire la sera, parli poco e sia molto dolce. Lui ne è pazzo, beve e parla per riempirla, dice e poi ride della sua battuta. Sono complementari. Sono innamorati. Gli dò tre mesi e non escludo che in questi tre mesi si sposino.

«Quando avrò la fortuna di conoscerla?»

«Potremmo andare tutti e quattro a cena domenica.»

Mi limito a scuotere la testa.

«Oh, finalmente!» dice guardando in strada una Mercedes nuova di zecca che parcheggia sulle strisce pedonali.

Gesticola attraverso il vetro verso un uomo enorme che scende dalla macchina. È muscoloso e anche un po’ grasso, ma non troppo, è alto quasi due metri e i suoi polsi hanno un diametro circa doppio del mio. È una montagna di carne, sembrava che neanche potesse entrarci nell’abitacolo. Quello sorride verso di noi e sento Gonorrea dietro di me che ha drizzato la schiena e cerca di farsi vedere.

«È il mio migliore amico qui a Parigi,» dice Paco risedendosi, in spregio ai tanti altri migliori amici che mi ha già presentato da quando ci conosciamo.

L’energumeno entra nella brasserie e in pochi secondi arriva al nostro tavolo con un bicchiere di brandy pieno fino all’orlo. Ha circa venticinque anni, due fessure di occhi e i capelli corti e marziali. Indossa solo una maglietta di cotone e un gilet di piumino nonostante fuori ci siano -2 gradi.

Prima di sedersi fa un cenno di saluto a Gonorrea, viene davanti a me e mi stringe la mano senza parlare e guardandomi dritto negli occhi, poi va a sedersi vicino a Paco piegato in avanti.

«Come andiamo, boludo?» dice a Paco, direttamente in spagnolo.

«Ma ti lasciano ancora la macchina la sera?» gli dice, poi si volta verso di me, «Santiago lavora con me come autista dai colombiani.»

«No, ma volevo rimorchiare stasera,» risponde.

«Se ti beccano ti licenziano.»

«Non mi beccano.»

«Oh, è arrivato lo Yeti,» Principessa torna ancheggiando e si risiede al posto che occupava prima. Gonorrea sembra infastidito.

«Princesse,» risponde al giovane efebo.

«Che facciamo stasera?» gli dice Paco.

«C’è la finale delle drag queen,» risponde. Tremo, Paco mi aveva prospettato una serata tranquilla, due birre e poi a casa.

«Vuole inculare le uniche due donne che ci sono,» dice Principessa in francese e Yeti fa un riso grosso e perduto.

«Le donne se lo mangiano vivo,» mi dice Paco in francese. Anche Gonorrea, dietro di me che lo fissa, gli darebbe volentieri un morso.

Il barista arriva con altre due Leffe per Paco e me. Gonorrea si distrae un momento e alza timidamente una mano per ordinare un’altra birra mentre Principessa si accartoccia con le gambe incrociate e inclina il busto per bere il suo gin & tonic con la cannuccia. Yeti è stravaccato sulla sedia a gambe divaricate e ogni tanto smorza un rutto in gola. Gonorrea gli guarda in mezzo ai pantaloni dell’Adidas e poi distoglie gli occhi quando ha paura di incrociare il suo sguardo.

Fuori, in strada, passa una ragazza con una minigonna, i capelli legati in una coda e i tacchi alti. Yeti si alza improvvisamente e comincia a sbattere i palmi aperti delle mani contro il vetro per richiamare la sua attenzione, tutta la veranda trema e anche dagli altri tavoli si voltano verso di noi. Per concludere apre anche la bocca mostrando la lingua e mima di leccarla attraverso il vetro.

«Come i gatti in calore,» commenta schifato Principessa.

Lei si accorge di lui e sorride, poi entra nella brasserie e ci raggiunge nella veranda riscaldata. Yeti le dice che stasera andiamo alla finale delle drag queen e la invita. Si chiama Claire ed è felice di raggiungerci più tardi, prima deve andare a casa a fare una doccia perché è appena uscita dall’ufficio.

«Quella?» dice Paco.

«Quella dopo,» risponde Yeti e ride forte.

«Quella non te la da. Dice che sei un mezzo latino. Una mezza scopata,» Paco ride e allunga un braccio per prendergli il pacco e stringergli i coglioni.

«Vedi questo?» Yeti si è tirato fuori il cazzo mettendosi di schiena alla strada.

«Niente a che vedere con questo,» Paco gli va accanto, con il pisello che fa capolino dalla lampo dei jeans. Ridono insieme e fingono di farsi una sega a vicenda e non si accorgono che Gonorrea sta per svenire e che dalla strada chiunque potrebbe vederli.

«E poi dice che sei uno spacciatore,» dice Paco.

«Vi avrà confusi,» dice Principessa, ma Paco non è uno spacciatore. È un utilizzatore privato di una considerevole importanza. Neanche a me l’ha mai procurata.

«Dai, andiamo a questa festa di froci e mignotte,» dice Yeti verso Paco che mi invita con un cenno del capo.

«Vieni anche tu, Gonorrea, eh? Mais ne fait pas pipì la bas, hein?» Paco dice e Gonorrea sorride come un bambino in castigo. «Quando si addormenta fa pipì,» scherza Paco e Gonorrea gli sorride un’altra volta.

Paco è un animale sensibile, avrei considerato strano questo comportamento da parte sua perché di solito cerca sempre di mettere a suo agio le persone con lui – a suo modo e a condizione che amino Bukowski – ma vedo che Gonorrea reagisce bene alle sue battute.

«Allora, andiamo?» dice Principessa, che si è autoinvitato.

Yeti non sembra per niente infastidito da tutta questa gente nella Mercedes che stasera voleva usare per rimorchiare ma forse non considera l’eventualità di riportarci anche indietro.

Prima di partire Yeti esige, senza prudenza, che chiunque beva un brandy a piombo. Partecipo senza commentare il pericolo per la Mercedes. Ordiniamo un giro e ci mettiamo in cerchio con i bicchieri in alto. Principessa vorrebbe rifiutarsi ma non ci prova neanche perché resterebbe a piedi. Trangugio senza riflettere e spero che il mio stomaco non ceda.

Con le fiamme che mi salgono alla gola vado verso il bancone per pagare, ma la manona di Yeti mi ferma e con una leggera pressione sul mio petto mi fa indietreggiare. Mi sta sorridendo e, senza parlare, mi dice che offre lui.

Paco regola il conto delle nostre Leffe e resto senza nulla da offrire a nessuno, imbarazzato. Poi Paco va dietro il bancone e, spintonando il barista, stacca un poster di Lolo Ferrari dal muro, lo arrotola e chiede a tutti di mettersi in ginocchio per ricevere l’investitura di Cavalieri dell’Ordine delle Tette. Principessa si rifiuta, anche se è quello che ha meno tette di tutti, è anoressico, Yeti ne è fiero, Gonorrea cerca solo di stargli vicino. Sono un po’ imbarazzato ma, in fondo, mi fa piacere il cavalierato di Lolo Ferrari.

«Di dove sei?» chiedo a Yeti mentre usciamo. Cerco di stabilire un canale di comunicazione con questi nuovi amici.

«Nicaragua,» risponde senza voltarsi.

Quando siamo tutti usciti Principessa accelera il passo per mettersi sul sedile passeggero. Chiedo a Paco dove stiamo andando ma lui non lo sa. Gonorrea è dietro di noi.

Salgo dietro, Paco in mezzo e Gonorrea dall’altra parte.

«Allora, cammina questa macchina di merda?» urla Paco, si tira fuori le chiavi di casa e minaccia di pugnalare il sedile di pelle nuovissimo.

«Boludo, ti stacco la testa,» risponde Yeti.

«Che musica hai?» Principessa chiede, ancora con quel tono schifato.

Yeti non risponde e muove una leva dietro il volante. Tutta la macchina si illumina, la radio prende vita e sullo schermo appaiono due donne nude che si strizzano le tette e poi la musica altissima di una cantante sudamericana.

«Proprio dei gatti in calore,» dice Principessa e allunga una mano per togliere il CD.

«Stai fermo. La prossima è Gustavo Cerati,» Yeti dice afferrandogli il polso.

«Gustavo Cerati è italiano, mafioso come te,» mi dice Paco in italiano.

«Gustavo Cerati è sudamericano,» dice Yeti, infastidito.

«Oh, avevo vent’anni quando uscì Soda Stereo,» dice, inaspettatamente, Gonorrea con un tono sognante, ma tutti lo ignorano.

«Altrimenti mezza America Latina sarebbe italiana,» continua Yeti.

«Io sono italiano, boludo,» gli risponde Paco.

«Nonno?» dico.

«Bisnonno. Si chiamava Amedeo. È un nome italiano, vero?»

Annuisco.

«Sì, sì, il mio bisnonno era un mafioso,» continua mimando lo sguardo truce.

Paco è nato sotto la dittatura argentina dei Colonnelli e da tanta repressione certa gente diventa adulta in maniera naturalmente anarchica. Lo è senza sforzo, senza rivendicazioni. Paco lo guardi e lo capisci che non fa l’anarchico per atteggiarsi o per rivendicazione sociale, è che proprio non ha assorbito le regole.

Paco si accende una sigaretta e Yeti inchioda e sterza bruscamente per parcheggiarsi davanti a un passo carraio.

«Scendi subito,» gli urla. È davvero intimidatorio.

«Scusa, scusa, la getto subito,» dice Paco senza scendere.

«Ora tenete i finestrini aperti fino a che non arriviamo,» dice Yeti.

Mi tiro su la sciarpa e guardo il termometro della macchina. Siamo nella tangenziale di Parigi e la temperatura si è abbassata a -4°.

«Lavori per gli unici colombiani che non fumano…» dice Paco. «Magari non si fanno neanche di cocaina. Che tempi.»

Yeti non risponde ma lo sento che gli scappa da ridere. Mi sporgo per guardare Gonorrea che ha un sorriso assente sulle labbra perché si parla del Sudamerica e perché guarda Yeti.

Quando arriva Gustavo Cerati, Yeti alza al massimo il volume e Gonorrea continua a sorridere e a fissarlo. Paco si stupisce che io non conosca Gustavo Cerati e dopo un po’ sfocia nell’essere scandalizzato. Mi invento che in effetti ho già sentito questo ritmo da qualche parte ma non ho memoria per le canzoni in una lingua straniera.

Usciamo subito dalla tangenziale e torniamo dentro Parigi. I passanti sui marciapiedi ci guardano perché in pieno inverno andiamo in giro con i finestrini aperti e la musica al massimo volume. Se io fossi sul marciapiede guarderei la macchina e penserei che siamo dei tamarri ma dentro l’abitacolo ti diverti e ti senti figo.

Dopo quindici o venti minuti arriviamo in una zona industriale sopravvissuta nel ventesimo arrondissement, Yeti rallenta e indica una porta di metallo arrugginito senza alcuna insegna. Io penso che mi abbiano venduto a un commercio criminale internazionale, una di quelle storie in cui ti svuotano di sangue e di organi e poi ti seppelliscono come un involucro vuoto e i miei genitori continueranno a cercarmi e a sperare per venti anni.

Parcheggiamo due strade più in là, scendiamo tutti dalla macchina.

«Ehi, mettiamo subito in chiaro le cose. Chi ti vuoi fare qua?» Yeti dice a Paco. Io non sono considerato nella competizione.

«Karine,» risponde Paco e poi ride forte, corre a nascondersi dietro una macchina e mima di sodomizzare Karine.

«Brutto figlio di una…» Yeti lo insegue, fingendo che sia amichevole.

«Karine non viene. Non viene mai a queste feste,» Principessa dice e si guarda intorno intirizzito con il solito sguardo schifato. Gonorrea si illumina appena sente che questa Karine non insidierà Yeti stasera.

«Claire me la tromberei. Anche qui, dietro questa macchina,» ripete Paco e ricomincia con il gesto del metterla a pecora.

«Io me la inculo stasera,» dice Yeti.

«E se poi Karine lo sa…?» Principessa dice.

«Se lo sa sei stato tu. E poi inculo te,» Yeti risponde.

«Uh, allora glielo dico subito!» Principessa ancheggia e Gonorrea si rabbuia.

Tiro le somme. Karine è una che piace a Yeti ma non stanno assieme. Paco lo sa e non cerca di portargliela via, si diverte solo a farlo incazzare. Gonorrea ucciderebbe Karine. Principessa è in calore come Yeti.

 

Entriamo nel locale. Si può fumare, un locale enclave nel mezzo dell’Europa proibizionista. La metà della clientela sono drag queen che si agitano come altissimi pavoni danzanti fra i tavoli, chiacchierano fra di loro, volteggiano, ridono coprendosi la bocca con una mano e si rincorrono come coppie di passerotti fra gli alberi. L’altra metà sono avventori indistinguibili fra loro. Possono essere gay, bisex, indifferenti, non ne ho idea, di fianco alle drag queen diventiamo tutti insipidi.

Yeti va al bancone con Paco e torna con un bicchiere di brandy pieno fino all’orlo e si guarda intorno.

«Non c’è carne,» urla nell’orecchio di Paco che si ritrae.

«Boludo, è pieno di carne,» risponde Paco.

«Carne che piace a noi».

«Guarda Principessa,» Paco alza un braccio e lo indica. Principessa si sforza per mantenere l’atteggiamento di superiorità disprezzante ma guarda dappertutto e gli piacciono tutte.

«Vado a cercare Gonorrea,» dice Paco.

Lo seguo: in molti posti dove vado con Paco sono, almeno fino a che non mi acclimato, totalmente dipendente da lui. Gonorrea lo troviamo all’esterno che fuma e guarda due macchine sfrecciare a velocità assassina in un giro di gare illegali.

«Che fai qua fuori da solo?» Paco gli mette una mano sulla spalla.

Gonorrea sorride, inclina la testa, lo guarda e poi abbassa gli occhi, rialza la testa, alza le spalle e sorride di nuovo, ma per schernirsi.

«Devi cavartelo dalla testa, non puoi andare avanti così,» Paco gli dice. Gonorrea annuisce con un sorriso malinconico. «È come se ti chiedessero di leccare una figa,» continua Paco e Gonorrea fa un gesto di disgusto, «proprio non si può.»

Gonorrea annuisce di nuovo. Paco sembra molto dispiaciuto di metterlo di fronte alla realtà.

Le due macchine hanno invertito la rotta con un testacoda in fondo alla strada e ora schizzano davanti a noi di nuovo.

Paco gli mette una mano attorno alle spalle per fargli coraggio e torniamo tutti dentro.

La musica tecno è più bassa adesso e c’è movimento sul palco, la sfilata dovrebbe cominciare a breve. Chiedo a Paco e Gonorrea se vogliono qualcosa da bere.

«Due Leffe,» dice Paco, ordinando anche per Gonorrea senza chiedergli nulla e li lascio tornare vicino a Yeti che sta parlando con quella ragazza, Claire, quella che era passata davanti alla Brasserie de la lune.

Torno da loro reggendo i bicchieri in bilico e cercando di non essere urtato da nessuno. La musica smette di colpo e un presentatore in frac marcia a passi decisi sul palco. Ha un dito di cerone, gli occhi strizzati, la pelle del viso tirata al massimo e il botox gli fa sembrare che una testa di plastica.

«Signore e signori, ecco a voi le finaliste!» dietro di lui dieci drag queen, dieci uccelli tropicali, si dispongono in una fila orizzontale e sorridono al pubblico. «Sono qui per voi, signore e signori, sono le sette meraviglie del mondo. Lasciatevi incantare dalla loro bellezza.»

Sono decise, grintose, dolci, sembrano enormi pasticcini che implorano di farsi mordere, sono tra le donne più belle e affascinanti che abbia mai visto. Sicuramente con più personalità.

La prima, una bionda bella come Eva Perón canta “Don’t cry for me Argentina”. Non le stacco gli occhi di dosso ma cerco di non notare il pomo d’adamo. Claire, poco più in là, porge il culo a Yeti che lo palpa e lo strizza un paio di volte, come per verificarne la consistenza. Continuano a parlare e durante la seconda esibizione, una danza del ventre, Claire offre il petto a Yeti che gli palpa le tette. Anche Paco ci mette una mano e Claire è ben felice di essere apprezzata.

Paco mi chiama con un gesto della mano.

«Non riusciamo a deciderci. Di Claire io preferisco le tette, Yeti il culo. L’opinione di Principessa non ce ne frega un cazzo,» dice. «Ci serve una terza voce,» dice. Guardo.

«Mi avete portato uno timido?» dice Claire, di fronte alla mia esitazione, offrendomi il petto.

Yeti ride e grugnisce.

La mia mano scatta in alto e la faccio passare sulla coppa del seno destro.

«Oh, bravo, te la reggo io,» Claire dice prendendomi il bicchiere di birra e liberandomi l’altra mano che simmetricamente va a toccare l’altro seno. Risalgo verso il capezzolo e indugio forse un po’ troppo stimolandolo.

«Hei, basta, devi solo dare un’opinione,» dice lei voltandosi e mettendosi un po’ in punta di piedi per rassodare le natiche del sedere e darmi il meglio di sé. Dopo essere stato ripreso per essermi approfittato della situazione, sono più freddo e metodico nella palpata delle natiche.

«Le tette,» pronuncio.

«Non ti piace il mio culo?»

«È notevolissimo. Però trovo le tue tette sublimi,» dico e sorrido di circostanza.

«Non capiscono un cazzo questi, io andrei sempre per il tuo culo,» interviene Yeti.

Mi assento per andare in bagno dove fortunatamente le porte si chiudono a chiave e posso masturbarmi in pace per godermi il resto della serata senza pensare a quelle tette. Meno male che non mi ha chiesto del viso perché avrei mentito volentieri per educazione ma non so se sarei stato convincente. Forse non me lo ha chiesto perché lo sa.

Quando torno vado diretto da Paco.

«Cosa mi sono perso?»

«Ah, nada, questa è la quinta. Quella di prima ha fatto la solita versione di I will survive. Te la immagini una drag queen che fa Bukowski, eh?»

«No, parlavo della tipa.»

«Ah,» si china per prendermi il pacco, «sei andato a…» dice, ride e chiude le dita a tubo per mimare la masturbazione.

«Posso pisciare in pace o devo chiedere il permesso per andare in bagno?»

«Potevi aspettare un po’ che quella ci spompina tutti.»

Claire torna verso di noi con un bicchiere pieno di un liquido blu in compagnia di Yeti che ha un altro bicchiere pieno fino all’orlo di brandy.

«Oh, vacci piano con quello,» gli dice Paco, sorprendentemente coscienzioso, riferendosi al brandy.

«Ah ah,» ride lui verso Claire, «questo boludo pensa che lo riporterò a casa, ah ah.»

Claire si fruga nel taschino dei jeans e ci mostra nel palmo aperto della mano delle pillole azzurre.

«Naaa, grazie. È robaccia chimica. Io sono uno sano, solo cocaina, roba naturale,» dice Paco. Anche io declino. Principessa ne prende una. Yeti se ne lancia in bocca due e le inghiotte con un lungo sorso di brandy. Gonorrea aveva allungato la testa non per prendere le pillole ma per controllare la situazione. È furioso mentre per i seguenti venti minuti Claire, ballando, sfrega il suo culo contro l’erezione di Yeti.

La musica si ferma di colpo e il presentatore faccia di plastica torna sul palco e fischi e applausi salutano la dichiarazione delle tre finaliste che salgono sulla scena per prendere le prime acclamazioni.

Yeti e Claire spariscono dietro una porta e vedo Gonorrea che fa qualche passo verso di loro per controllare dove vadano.

«Lascia stare,» Paco gli afferra un braccio e gli dice dolcemente, «ti fai solo del male.»

Gonorrea finge di ascoltarlo ma continua a sbirciare per controllare che non riemergano da quella porta.

«Dove è Principessa?» dico.

«A consolare le perdenti,» ride Paco.

Guardiamo lo show ma dopo pochi minuti mi accorgo di essere rimasto da solo con Paco. Gonorrea è sparito ma Paco dice che sarà fuori a piangere e che non ci possiamo fare niente. Gonorrea invece riappare, piangendo per davvero, dalla porta da cui erano spariti Yeti e Claire e si getta fuori. Dopo altri due minuti lo spettacolo si interrompe.

 

***

 

Questo è il momento in cui si ferma la mia esperienza diretta di quello che è successo, quello che segue l’ho saputo dal processo penale a carico di Yeti in cui io e Paco eravamo chiamati come testimoni.

Claire è svanita in una camera laterale con Yeti, completamente fuori di sé, barcollante, allucinato, che digrignava la mascella. Lei diceva di stare calmo, di avere pazienza, che lo stava portando in un posto dove avrebbero potuto tirarsi giù i pantaloni entrambi senza essere disturbati.

Lo ha portato in una stanza ripostiglio dietro il palco e hanno cominciato a baciarsi, ma lui voleva solo sodomizzarla. Lei ha spento la luce perché voleva sentire i suoi pettorali al buio, voleva sentire la sua forza cieca al buio.

Yeti, devastato dall’alcol e dagli acidi, ha aspettato guardando il vuoto che Claire andasse verso l’interruttore e poi tutto ha perso i contorni dentro un’oscurità totale. Claire gli disse di essere già carponi e di prenderla. Yeti si avvicinò e le afferrò i fianchi per tenerla salda, aveva già un’erezione piena e le entrò dentro senza carezze o preamboli. Lui fece un sonoro “ah” di liberazione e lei un grido di dolore subito dopo, poi cominciò ad ansimare rumorosamente e ogni tanto anche un “mi fai male, sei troppo grosso” con il tono lusinghiero di chi non sta chiedendo di smettere.

Yeti, nella situazione di disordine mentale in cui era precipitato non poteva accorgersi dell’asincronia dei vagiti di Claire, sapeva solo che stava colpendo e stava colpendo pesante. Essendo totalmente fatto, l’eiaculazione tardava e i vagiti di Claire si facevano sempre più annoiati. Yeti voleva venire e non aveva altre preoccupazioni, strinse più forte i fianchi di Claire e affondò con ancora più forza.

«Ahia, mi fai male, stronzo!» Yeti sentì una voce che non era quella di Claire ma non si staccò perché non si accorse della differenza.

«Lasciami stronzo, mi fai male!» ripeté la voce. I vagiti di Claire erano cessati, ora c’erano le grida di un’altra persona.

La porta si aprì e sbatté contro la gamba di Claire che stava in piedi accanto alla porta. Passò uno spiraglio di luce che alle loro pupille dilatate fu sufficiente per vedere la scena anche se a Yeti occorse qualche secondo in più per capire cosa stava succedendo. Sotto di lui c’era Principessa che mischiava risa e accenni di dolore all’ano e ai fianchi. Davanti alla porta c’era Claire, ancora vestita, e dietro lo spiraglio della porta Gonorrea che era scoppiato a piangere e scappava via.

In sala i rumori non erano ancora arrivati perché erano coperti dalla musica, ma arrivarono presto. Vidi Gonorrea che correva via in lacrime uscendo dalla porta da cui erano spariti Yeti e Claire. Paco lo intercettò ma Gonorrea non smise di piangere e non spiegò nulla, per cui Paco fu molto cauto quando avanzò nel corridoio verso il magazzino in cui Yeti aveva sodomizzato Principessa credendo che fosse Claire.

 

Claire e Principessa, nel frattempo, stavano ridendo a crepapelle.

«La tua prima esperienza gay,» lo prendeva in giro Principessa.

«Ah, un piccolo scherzetto, dai non fare il permaloso!» rideva Claire.

Yeti cominciò a tremare, fece un balzo indietro schifato del corpo di Principessa ma poi si toccò il cazzo e fu schifato dalla sensazione di umidiccio sulla pelle e sul glande, l’umidità dell’ano di Principessa. Fu terrorizzato per pochi secondi, poi cedette alla rabbia. Si avventò sul corpo sottile di Principessa e lo colpì due volte, incrinandogli una costola e rompendogli uno zigomo. Principessa venne sbalzato sul pavimento e non si mosse, svenuto.

Yeti allora guardò Claire che capì la gravità della situazione in un istante. Cercò di fuggire ma Yeti la afferrò per un polso (che le spezzò), le tolse i jeans e poi le infilò in culo un palo di metallo prima che arrivassimo Paco e io.

Quando vide Paco che si fermava al centro della stanza, incapace di capire cosa stesse succedendo, Yeti lasciò Claire che si liberò del palo di metallo e zoppicò cercando di scappare, raggiunse la sala in lacrime. Aveva i pantaloni calati sulle ginocchia e un rivolo di sangue le attraversava una coscia. La musica si spense e chiamarono la polizia che arrivò pochi minuti dopo.

Nel magazzino Yeti si contorceva per terra tenendosi i genitali e il pene colpevole. Principessa era ancora svenuto.

Yeti prese un anno e mezzo per violenza e gli riconobbero tutte le attenuanti. Claire prese cinque punti di sutura. Principessa trenta giorni di prognosi. Gonorrea si mise a bere con violenza e prese le emorroidi. Paco non prese nulla e si rimise a posto i canini due mesi dopo. Io presi il divieto assoluto da parte di Marion di uscire ancora con Paco.