Gianmarco Perale, Non ero io

(Ghost track)

NOTA: Il seguente racconto appariva nascosto dentro la fascetta che avvolgeva il volume ‘tina 36. Non essendo possibile includerlo nel pdf, lo ripubblico qui a parte.

La vita è fatta anche di coincidenze mancate. Oltre un anno e mezzo fa Gianmarco Perale mi aveva inviato un racconto splendido, che aveva scritto appositamente per poter comparire su ‘tina. Purtroppo l’ho ricevuto mentre era in stampa il numero precedente e non avendo idea di quando avrei realizzato il successivo, così gli ho consigliato di mandarlo ad altre riviste. Inutile dire che poi me ne sono pentito e che quel testo ha trovato subito posto altrove, perché lo meritava. Nel frattempo il suo autore ha anche esordito con un romanzo per Rizzoli, che ha conquistato gli elogi della critica, a partire da un lettore severo ed esigente come Walter Siti.

In nome del rimpianto per quella pubblicazione mancata, ho proposto a Perale di scrivere un micro-racconto da far diventare la traccia nascosta di questo libro.

La caratteristica principale della narrativa di questo talentuoso autore è quella di svilupparsi quasi esclusivamente attraverso i dialoghi, che sono perfetti, precisi persino nelle pause, nelle ripetizioni, nei silenzi. Come se avesse conseguito un Master in ascolto e riuscisse a riprodurre sulla pagina il modo in cui la gente parla davvero.

Il racconto brevissimo che ha scritto in esclusiva per questo numero conferma appieno questa sua abilità: una storia che si dipana attraverso un dialogo serrato, nel quale anche i sospiri sono rivelatori.


 

Gianmarco Perale, NON ERO IO
 

In giardino, Miriam ha detto: – È la verità?

– Giuro.

– Come faccio a saperlo?

Castana, occhi marroni, altezza media, lentiggini.

– Stiamo assieme da tre anni.

– E quindi?

– Lo sapresti, credo. O no?

– No.

Un attimo di silenzio. Si è sciolta e rifatta la coda.

– In tre anni, dimmi, ti ho mai tradita?

Ha fatto un sorriso ironico, e ha detto:- Sei scemo?

Braccia incrociate.

– Perché?

– Rifaccio la domanda: sei scemo?

– No.

– Mi sa di sì. Se mi hai tradita, e lo nascondi, come faccio a saperlo?

– Perfetto. Te lo dico ora: non ti ho mai tradita.

– Bene. E io ti richiedo: come faccio a saperlo?

– Ti fidi, o non ti fidi?

– E allora dimmi: perché Paolino mi ha detto che ti ha visto?

Era il suo migliore amico, cicciottello, bassetto.

– Ripeto: non ero io.

Si è girata. Ha fatto per alzarsi dalle gradinate, con me ancora seduto. Poi ha detto: – Vado dentro.

Una villa gigante, eredità di nonna e nonno, non so quanti metri quadri di giardino, prato inglese siepi altissime. Uno stagno con le rane, una tartaruga, qualche pesce rosso.

– Non ho fatto niente, – ho detto.

Di nuovo lei: – E come faccio a saperlo?

– Ancora. Lo sai.

– No. Non lo so. Perché Paolino dovrebbe mentire?

Ho iniziato a scuotere la testa. Poi ho detto: – A parte questo, questa cosa che ti ha detto Paolino, hai mai avuto dubbi?

Si è girata e ci siamo fissati: – Carlo.

– Sì.

Speravo si sedesse, ma rimaneva in piedi, con la mano sulla porta. Ha detto: – Ascoltami.

– Sono qui.

– Che motivo ha, Paolino, di dirmi bugie?

– Non so. Nessuno.

– Appunto.

– Ma credimi. Lo giuro. Non ero al Cuore, ieri sera.

Ha fatto un respiro profondo, mani sui fianchi, testa inclinata. È arrivato un colpo di vento, il sole calava, era ora di cena.

– Non eri al Cuore, – ha detto.

– No.

– E dov’eri?

– Te l’ho detto. A casa.

– Bene, – ha detto subito. E poi: – Spiegami, allora. Spiegamelo tu. Perché Paolino mi ha detto che eri lì?

– Non so. Credimi. Ma non ero io. Può anche sbagliarsi, uno, o no?

– No.

– Non sbaglia mai, Paolino?

Silenzio.

– Secondo te, se voglio tradirti, vado al Cuore?

Si è grattata fortissimo la guancia. Senza guardarmi ha detto: – Eri lì. Vero?

Le ho sorriso, e ho fatto no con la testa.

– Siamo qui, ormai. Dimmelo, e fine.

– Ma perché, scusa?

Perché, cosa?

– Perché devo dirti che ero lì, se non ero lì?

Silenzio ancora.

– Non ero io. Non ero al Cuore, ieri sera. Giuro. Ero a letto. Te l’ho anche scritto, che ero a letto.

Il suo iPhone ha vibrato, in mano sua, ma non l’ha guardato.

– Carlo.

Ora mi guardavo le scarpe.

– Con chi eri?

Non ho risposto. Ancora lei: – Carlo. Ti prego. Con chi eri?

Ci siamo guardati, lei in piedi e io seduto, ancora sui gradini.

– Carlo.

– Sì.

– Con chi eri?

Di colpo è sceso un merlo, il becco arancione acceso, che ha guardato tutti e due.

– Eri con Sara. Vero?

Ho fatto un bel respiro e ho guardato il cancello, in fondo. Una signora è passata col cane.