Niccolò Contessa, EDUCAZIONE SENTIMENTALE

Nascosto dietro un nome d’arte curiosamente al plurale (I cani), Niccolò Contessa è una delle più interessanti realtà della musica indie italiana. Con soli due album si è guadagnato un seguito di ascoltatori fedelissimi e una rassegna stampa da fare invidia ai colleghi cantautori più celebrati. Che Niccolò sappia scrivere l’ha già dimostrato ampiamente nei testi abrasivi e del tutto contemporanei delle sue canzoni, ma anche in veste di narratore conserva la stessa forza innovativa. Il racconto che mi ha consegnato per ‘tina è al contempo la fotografia e la parodia di una generazione hipster e creativa, in grado di fare della propria indeterminazione oggetto narrativo e fonte di guadagno, senza riuscire a sopprimere il desiderio immediatamente successivo di rinnegarla e chiamarsene fuori.

Niccolò Contessa, EDUCAZIONE SENTIMENTALE

 

Carlo non può morire, per almeno cinque motivi:

  • perché L’Educazione Sentimentale (d’ora in poi ES), nonostante sia una web serie underground, partita dal basso, frutto della personalissima visione artistica di Carlo (e, in misura minore, di Mathieu), interamente immune da condizionamenti commerciali e/o corporate di ogni tipo (anche se Carlo ha firmato, all’inizio della seconda stagione, un contratto di anteprima esclusiva con Sky; contratto che però, attenzione, non garantisce a Sky nessuna voce in capitolo sul contenuto degli episodi e quindi non minaccia in nessun modo l’integrità della sua visione artistica), e quindi sia un prodotto culturale assolutamente figlio del ventunesimo secolo già abbastanza inoltrato (un momento storico in cui, come Mathieu ama ripetere, a raggiungere il successo planetario non è una bella ragazzetta americana, ma un pop-house-rapper coreano di trentacinque anni: un fenomeno che, in tempi più ingenui e più politicizzati, si sarebbe cercato di spiegare tirando in ballo la CIA e la fragilissima situazione politica della penisola coreana, con il nuovo giovane leader in Corea del Nord e tutto il resto: ottenendo almeno l’effetto di sostituire a una realtà francamente inafferrabile la buona, vecchia, cara paranoia), insomma nonostante ES sia per sua stessa natura un prodotto culturale post-qualunque cosa, deve comunque mantenere una certa identità, un certo (argh!) brand, come dicono i tipi di Sky (ma è solo un consiglio, perché, appunto, non hanno nessuna intenzione di minare l’integrità della visione artistica di Carlo, e quel che è peggio è che sono sincere, le teste di cazzo), e questa identità nel caso di ES passa per un certo realismo sociale, oppure, volendo volare più bassi, una certa satira di costume, comunque una roba abbastanza aderente a quel costrutto che l’individuo comune accetta come realtà, con buona pace di Deleuze e quegli altri; una realtà in cui possono trovare spazio, tuttalpiù, degli sprazzi surreali estremamente limitati (che Carlo e Mathieu, in sede di confronto creativo, definiscono cose a buffo, stando molto attenti a non abusarne; arrivando a fare dei conteggi per accertarsi che in media, in ogni stagione, non superino il limite, assolutamente arbitrario, di cinque), delle schegge di assurdità, quando ce ne sia bisogno per necessità comiche, o di ritmo: ma la morte dell’autore-regista-sceneggiatore-montatore-attore protagonista, e la sua resurrezione nell’episodio successivo, sarebbe una deviazione troppo forte dal brand estetico faticosamente costruito in due stagioni, a meno di non ricorrere a trucchetti tipo era tutto un sogno, ipotesi da accantonare immediatamente perché, se Carlo e Mathieu hanno capito una sola cosa dell’estetica che viene richiesta non solo alle web serie underground partite dal basso etc. etc., ma a qualunque prodotto culturale che al giorno d’oggi intenda rivolgersi a un pubblico come il loro, la cui età è distribuita secondo una curva di Gauss centrata nella famigerata fascia 18-24 anni (i consumatori di domani, hanno detto a bassa voce i tipi di Sky che, se avessero avuto un cappello, lo avrebbero tolto in segno di rispetto) ma sconfina in basso nella fascia 12-18 e in alto nella fascia 24-30, insomma per arrivare a questa gente perlopiù ventenne ma anche un po’ adolescente e un po’ trentenne, oggigiorno bisogna prediligere l’inspiegato, l’accostamento paratattico di input apparentemente incompatibili, il jump cut, l’effetto tumblr: in generale qualunque tipo di spigolosità formale che evochi un mondo in cui il tempo è molto compresso, gli stimoli sono forti e diversificati e il significato è un problema secondario (ma ci deve essere, continua a ripetersi Carlo, altrimenti diventa un videoclip); e poi
  • l’ipotesi di un’eliminazione permanente di Carlo (del personaggio di Carlo) da ES è fuori discussione: l’intera serie è una versione leggermente fictionalizzata (Mathieu, quando si scontra con i limiti del suo italiano, chiama in soccorso dei discutibili calchi dall’inglese, lingua che conosce anche meglio del francese; alcuni di questi riescono a farsi strada nei dialoghi della serie, e vengono adottati come neologismi dal pubblico di ES, convincendo definitivamente Mathieu che si tratti di buon italiano), un resoconto neanche troppo alternativo della vita del suo creatore, Carlo Rinaldi: l’amato-odiato protagonista ventitreenne, romano, laureando (svogliato) in Lettere, indubbiamente brillante, non particolarmente bello ma neanche disgustoso (e con un fisico più che discreto, eredità degli anni di pallanuoto da bambino), abbastanza alla moda da essere rilevante ma non abbastanza da risultare antipatico, perennemente conflittuato (di nuovo Mathieu) tra egoismo e consapevolezza del proprio egoismo, così come di tutti i suoi limiti e difetti e piccolezze, che non vengono tanto superati quanto piuttosto dichiarati: perché, diciamocelo, se adottasse il tradizionale movimento narrativo televisivo in quattro atti, con un conflitto piccolo alla fine del primo atto e un rovesciamento alla fine del secondo atto e un conflitto grosso alla fine del terzo atto (in corrispondenza, diciamo anche questo, dei vecchi stacchi pubblicitari), e il protagonista si scoprisse, a fine puntata, migliorato, la serie sarebbe vecchia, e moralista, e noiosa, una roba tipo quelle sit-com americane di buoni sentimenti alla Settimo Cielo, e soprattutto fallirebbe nel proprio obiettivo principale, ovvero l’identificazione con il proprio pubblico. La presenza di Carlo quindi è una necessità, e non perché lui in persona sia particolarmente affezionato alla sua posizione di attore-protagonista-assoluto: o meglio, non ci è più molto affezionato, almeno dai tempi di ESB (gli episodi di ES sono numerati con ES seguito da una lettera che indica la stagione, seguito dal numero dell’episodio, es.: ESB#02 è il secondo episodio della seconda stagione; Carlo e Mathieu amano scherzare su “quando arriveremo a ESZ”: tentativo, anche abbastanza tenero, di esorcizzare il terrore di finire le idee), ovvero quando, arrivato il contratto di anteprima esclusiva su Sky e l’articolo in homepage su Repubblica.it (che era, ovviamente, pieno di errori, e definiva Matthieu (sic) Ortoly (sic) un “ragazzo italo-francese”, cosa che aveva fatto incazzare non poco il vero Mathieu Ortoli, che è di padre còrso e madre francese ed è molto affezionato alla sua identità còrso-francese) e in generale il picco di popolarità, beh, passato quel momento di euforia, la gratificazione nel vedere la propria vita suscitare l’ambita spirale esponenziale dell’interesse social è stata superata dalla pura e semplice fatica di mandare avanti la baracca, e soprattutto dalle rotture di cazzo, Cristo santo, le rotture di cazzo, con l’intera area metropolitana di Roma che sembra essere stata improvvisamente rovesciata come un sasso, e sotto a quel sasso Carlo ha scoperto un brulichio di attori, operatori, direttori della fotografia, segretari di edizione, segretari di produzione, assistenti alla regia, fonici di presa diretta, elettricisti, macchinisti, tutti misteriosamente in possesso del suo numero di cellulare, tutti dispostissimi a lavorare gratis o anche solo a prendersi una birra insieme, tranquillamente, per chiacchierare. Andategli a spiegare che Carlo gira quasi tutto da solo, con l’iPhone, reggendolo in mano anche per ore grazie alle sue più che discrete braccia da ex-pallanuotista: allora si propongono come fotografi di scena (“Io amo sperimentare tutti i linguaggi, da Hipstamatic alla pellicola b/n”), ufficio stampa, assistenti personali, driver. Carlo comunque non può morire, insomma, perché non ci sono altri personaggi ricorrenti che potrebbero prendere il suo posto: lo sguardo della serie, come i suoi colori ipersaturati in sede di color correction (uno degli elementi più riconoscibili del brand di ES, e una delle migliori idee di Mathieu: “Non dev’esseré come una di quelle serié digitàli dove non si vedé un cazzo”), tende a schiacciare nella bidimensionalità qualunque cosa non sia in primo piano: ovvero, nel 99% dei casi, Carlo. C’è Piergiorgio, l’amico comicamente sfigato, i cui rari exploit sentimental-sessuali rappresentano il principale comic relief di ES; Chiara, l’ex compagna di liceo, ricca, di destra e un po’ puttana (con l’abbronzatura accentuata in post-produzione, fino a farla diventare praticamente nero digitale puro), perennemente soddisfatta, che fa da contrappunto alla perenne e ingiustificata insoddisfazione di Carlo; Ernesto, il trentenne vagamente fuori moda e cripto-marxista che veste magliette larghe di gruppi anni ’90 e che in linea di massima rappresenta, anche se parla pochissimo, la coscienza del protagonista; e molti altri ancora: ma nessuno veramente in grado di sostenere un numero imprecisato di future stagioni da quattordici episodi della durata di 20-22 minuti. Ovviamente tutti gli attori/personaggi sono amici di Carlo, e quelli sono i loro veri nomi: un’altra delle fissazioni dei due creatori di ES, un altro elemento fondamentale del loro brand, è la verità. Se infatti Carlo e Mathieu hanno capito un’altra cosa riguardo al loro pubblico, è che il suo succitato bisogno di iperstimolazione artificiosa è bilanciato da una forte sete di autenticità, di puzza di umanità, di cose che a nessuno verrebbe in mente di condividere in pubblico, di dettagli imbarazzanti. Il punto di svolta, da questo punto di vista, è stato ESA#05, l’episodio in cui Carlo lascia la propria ragazza dopo due anni di relazione: i dialoghi sono stati trascritti (non adattati, trascritti) dal vero litigio che aveva avuto Carlo tre giorni prima lasciando la sua vera ragazza, durante il quale (Dio lo benedica) aveva avuto la prontezza di registrare tutto l’audio della conversazione con l’iPhone (e girando la puntata ha spiegato alla finta Enrica, ricacciandosi un nodo alla gola nello sterno, dove era seduta la vera Enrica, quali movimenti aveva fatto, in quale momento gli aveva tirato addosso un cuscino, testimoniato da un “thump” soffocato nella registrazione dell’iPhone, e in quale esatto modo, dopo avergli chiesto di andarsene, si era rannicchiata ed era rimasta in silenzio); tornando a casa in motorino, addirittura, aveva girato alcuni segmenti video in cui piangeva, che poi ha direttamente montato nella puntata: ed è stata una vera fortuna, perché Carlo non è esattamente un Tognazzi, un Enrico Maria Salerno, e non sarebbe mai stato capace di piangere in scena. La scelta di realizzare tutta la serie con l’iPhone si è quindi rivelata vincente, esattamente come ha previsto Mathieu: permette loro di montare, all’interno degli episodi, spezzoni presi dal vero, senza che si avverta nessuno scarto qualitativo: è una delle armi segrete di ES, e i tipi di Sky la trovano “molto fresca”. Comunque gli amici di Carlo hanno accettato di buon grado di comparire in ES, anche come caricature di loro stessi, perché in fondo sanno che è tutto fatto in buoni spiriti (ancora l’anglo-franco-italiano di Mathieu), e ancora più in fondo gli piace essere riconosciuti, ogni tanto, per strada: eccetto Ernesto, l’unico ad aver opposto qualche forma di resistenza, o meglio a non aver dimostrato nessun entusiasmo: nel suo caso sembra proprio che abbia accettato per fare un favore al suo amico Carlo, e quando “recita” tiene stampato in faccia, un sorriso paziente, un po’ distante, come se non gliene fregasse poi tanto di ES e della homepage di Repubblica.it e di tutto il resto, come se lo facesse semplicemente per affetto: e questa “interpretazione” è assolutamente perfetta per il suo personaggio, uno pseudo-fratello maggiore, non certo interessante quanto il protagonista ma buono, e saggio, e comprensivo. Ed Ernesto è anche l’unico attore/personaggio/amico veramente importante, per Carlo: perché non lo confesserà mai a nessun’altro, nemmeno a Mathieu, ma ultimamente ha dei momenti, ed è proprio Ernesto che chiama quando viene colto dai suoi momenti: episodi del cazzo, totalmente dimenticabili, che non dicono nulla sulla sua salute psicofisica se non che è molto stanco e stressato: momenti in cui ha, diciamo, dei dubbi, roba sostanzialmente innocua, però, ecco, in questi momenti non ha la certezza assoluta di cose tipo: che Mathieu non esista; che le visualizzazioni totali di tutti gli episodi di ES siano ottantanove, e non, come sa fin troppo bene, ottantanove milioni; che abbia sentito degli insulti, degli insulti diretti proprio specificamente a lui, Carlo Maria Rinaldi, attraverso i tubi del riscaldamento di casa sua, quando, una volta, ha avvicinato l’orecchio al termosifone: insomma, cazzate, però abbastanza fastidiose: ma grazie a Dio c’è Ernesto, il caro, vecchio, grosso Ernesto che fa il ricercatore di Fisica e ascolta i Pearl Jam senza nessuna ironia, che lo sta a sentire, e che spesso, alla fine, lo abbraccia.
  • Comunque, anche se ci fosse, tra i personaggi, un potenziale protagonista alternativo a Carlo, il pubblico non lo digerirebbe: perché proprio in virtù del fatto che ES è una web serie underground, partita dal basso etc. etc., ha le mani totalmente legate: non da un bieco produttore affamato di soldi e inserzioni pubblicitarie, niente di così novecentesco: ma dal suo pubblico giovane, culturalmente aggiornato e quindi tendenzialmente ondivago. Quando, un anno e mezzo prima, erano iniziate le trattative con Sky (a cui Mathieu non aveva preso direttamente parte, perché era a Parigi, e perché avevano deciso che per evitare complicazioni internazionali tutta la roba ufficiale sarebbe stata fatta a nome di Carlo, che poi avrebbe corrisposto parte degli eventuali profitti, privatamente, a Mathieu) per la seconda stagione di ES, Sky aveva messo sul tavolo un intero ventaglio di proposte, che andavano dalla produzione totale della serie (mediante una rosa di case di produzione fidate tra le quali C. e M. sarebbero stati liberi di scegliere), fino alla semplice anteprima in esclusiva su uno dei loro canali, prima del caricamento su YouTube: ma Mathieu, consultato nottetempo da Carlo, era stato irremovibile nella posizione di cedere il meno possibile (“Non vorrai averé un vecchiò che ti dicé che le nostre idee non vanno bené”), a costo di avere il meno possibile, e aveva convinto Carlo, che aveva finito per firmare un contratto ridicolo, in cui Sky pagava una cifra ridicola (meno di mille euro a episodio) in cambio di un’anteprima ridicola (dodici ore – dodici ore – di anticipo rispetto all’upload su YouTube) sulla sua nuova piattaforma (leggi: canale) SkyNext, un contenitore di “nuove tendenze”, la cui demografica di riferimento, avevano spiegato i tipi di Sky mostrando a Carlo la gaussiana 18-24 di cui sopra, era quasi commoventemente congruente a quella di ES, e i tipi erano giovani, ed erano sembrati sinceramente cordiali e rispettosi della scelta dei due autori, e avevano tutti i motivi di esserlo: perché nessuno, all’interno del network, si aspettava che quell’anteprima servisse a un cazzo, se non a mettere la bandierina di Sky su ES, e ad aggiungere un piccolissimo tassello, a costo quasi-zero, all’identità di brand del network: di modo che, detto in parole povere, quando i 18-24 di oggi si fossero trasformati nei 30-36 di dopodomani, e avessero iniziato ad avere, che ne so, dei lavori veri, un potere d’acquisto degno di questo nome, e magari dei figli, si sarebbero ricordati che Sky tutto sommato era una cosa abbastanza fica, e sedersi in santa pace a guardare la tv, la sera, dopo una giornata di lavoro, non era poi un’alternativa così umiliante rispetto all’andarsi a cercare su internet dei prodotti culturali underground, nati dal basso, etc. etc. Ma adesso, in piena crisi creativa, senza la minima idea di come cominciare la terza stagione, Carlo si sta mangiando le mani, e pensa che avrebbero dovuto accettare il pacchetto completo, con la produzione e tutto: non tanto perché essere prodotti da un colosso della comunicazione mondiale avrebbe significato avere un budget, e magari un po’ più di soldi da mettersi in tasca, ma perché si sarebbe trovato di fronte a delle facce (meglio se anziane e sgradevoli, magari con un sigaro in bocca) contro cui scontrarsi, con cui impuntarsi su un’idea: e invece si trova seduto in mutande e maglietta davanti al computer, a mormorare insulti verso quella massa senza volto di stronzetti tra i 12 e i 30 anni (con un picco tra i 18 e i 24) che gli impediscono un parricidio come Dio comanda, mentre continua a scorrere il feed di Facebook nervosamente, quasi graffiando il touchpad, non certo alla ricerca di ispirazione (non è così ingenuo), ma di distrazione: e anche questa ricerca è quasi sicuramente fallimentare, questo lo sa bene, ma è in nome di quel quasi, di quella potenziale eccezione, dopotutto, che buona parte del pianeta consuma milioni di ore ogni giorno. Se Carlo si eliminasse dalla serie… già immagina i commenti del pubblico (“Hanno finito le idee” “Rinaldi trovati un lavoro” “#lafinediES” “ES I.P. 2014-2017”, etc.), di quel pubblico maledetto, che dopo due stagioni inizia a scalpitare, a non vedere l’ora di coglierlo in fallo. Non che Carlo, a dire la verità, provi propriamente odio per il suo pubblico: ha verso di esso lo stesso rapporto di un pescatore polinesiano con il mare: è un dato di fatto, una cosa con cui deve fare i conti, un vendicativo dio politeista che si manifesta con maree di visualizzazioni che salgono su YouTube, ondate di tweet più o meno sensati e, molto raramente, foto delle parti intime di qualche sirena intraprendente, sulla cui età Carlo preferisce non indagare troppo. Cos’è, però, che lo mantiene onesto, allora? Cos’è che lo spinge a mettere tutta la sua intelligenza e gran parte delle sue energie in un’opera che verrà consumata (e commentata, Cristo santo, commentata) da gente verso cui prova perlopiù indifferenza? Mathieu Ortoli. Mathieu è, in un certo senso, il suo pubblico. Nei titoli di coda di ES (introdotti nell’episodio ESB#01, il primo con l’anteprima esclusiva su Sky) Mathieu è accreditato, insieme a Carlo, come produttore esecutivo, addirittura prima di Carlo, sebbene non ci siano dubbi riguardo a quale dei due sia lo showrunner della serie. Il buon Mathieu: lui e Carlo si erano conosciuti nove anni prima, al mare, in Sardegna, a Porto Rubeddu, dove i genitori di entrambi avevano una casa: perché il padre di Mathieu, ingegnere edile tra i principali responsabili della cementificazione delle coste corse negli anni Ottanta, trovava estremamente chic che un corso avesse la casa al mare in Sardegna; e all’inizio avevano passato parecchio tempo a scrutarsi, i quattordicenni Carlo e Mathieu, riconoscendo a vicenda, nelle magliette di gruppi semi-sconosciuti che avevano comprato su internet, e che portavano almeno fino all’ombrellone, uno dei segni distintivi della gente come loro, ovvero non esattamente emarginati, ma, diciamo, ragazzi dallo sviluppo pop-culturale precoce, più interessati a roba tipo la musica e i film che a provare a slacciare i costumi da bagno delle ragazze: e la contemporanea presenza di ben due esemplari di questa specie, su quelle spiagge di giovani in massima parte abbronzati e spensierati, era una coincidenza abbastanza improbabile e insperata da meritare un approfondimento. Ciononostante, il rituale di reciproco avvicinamento, proprio perché si trattava di gente come loro, fu una roba abbastanza complessa, in quanto entrambi dovevano essere certi della totale autenticità dell’appartenenza dell’altro alla gente come loro, che non fosse una posa, insomma, e dovettero aspettare l’estate successiva per arrivare ad avere abbastanza fiducia l’uno nell’altro da mostrarsi il contenuto dei rispettivi iPod: ma tutto andò per il meglio, e scoprirono di avere un sacco di gusti strani in comune, e fu ancora più bello proprio perché avevano aspettato così tanto prima di farlo. Dopo quell’estate iniziarono a sentirsi regolarmente, prima su MSN, poi su Skype, poi su Skype e Facebook, poi su Skype e Facebook e WhatsApp, anche se continuavano a vedersi fisicamente, di persona, solo d’estate, a Porto Rubeddu, nel loro Smultronstället. Quando due anni prima, su Skype, Carlo aveva accennato a Mathieu il suo progetto di realizzare una sorta di cortometraggio basato sulle (fallimentari) gesta erotiche di Piergiorgio a una serata di musica elettronica a cui erano andati la notte precedente, Mathieu ne era rimasto entusiasta, e lo aveva convinto a trasformarlo nel pilota di una web serie, e gli aveva suggerito il titolo: da allora è lo sparring partner di Carlo e l’unico consulente creativo permanente di ES. La lontananza geografica è in un certo senso un vantaggio, in quanto gli permette di mantenere quel distacco che è fondamentale per proporre le idee più avventurose, come l’episodio su Carlo che lascia Enrica; e poi Mathieu da qualche anno si è trasferito a Parigi, e si è rapidamente inserito nella movida snob e carburata a droga (espressione di Mathieu) dei giovani rampanti della città, e avere a disposizione lo sguardo non-provinciale di uno che vive gomito a gomito con gente terribilmente fica, quasi paurosamente fica, è l’insostituibile asso nella manica di ES.
  • L’idea (che Mathieu non accarezza neanche per scherzo, sia chiaro, ma prende in considerazione così, per riflesso condizionato, e perché quello era il metodo di lavoro a cui erano abituati: esaurire ogni ipotesi e quindi eliminare l’argomento “morte” una volta per tutte) di una vera morte di Carlo sa un po’ di anni ’90, come Kurt Cobain, oppure quel film in cui avevano ammazzato un tizio perché la pistola doveva essere caricata a salve e invece gli avevano sparato davvero. E soprattutto
  • hanno già fatto loro stessi una cosa più o meno del genere, e Mathieu si riferisce a ESB#02YT (a partire dalla seconda stagione avevano iniziato a realizzare dei mini-episodi più brevi e “sperimentali”, caricati solo su YouTube e non inclusi nel contratto di anteprima esclusiva con Sky, caratterizzati da una numerazione indipendente e il codice YT alla fine della sigla), che proprio Carlo considera una brutta esperienza, una storiaccia, e che in effetti era stata frutto di un paio di scelte avventate durante le riprese di ESB#03: episodio in cui, tra le altre cose, Carlo esce con Carolina Crescentini, che ha conosciuto nell’episodio precedente, e vanno a farsi le canne al parchetto di Colle Oppio: o meglio, la Crescentini gira una canna, e Carlo… Qui C. e M. si erano trovati di fronte a un paradosso: Carlo nella vita non fumava le canne, non assumeva proprio nessuna droga, e quindi l’esigenza di verità imponeva che non fumasse neanche in quella occasione; ma, aveva obiettato Mathieu, nel momento in cui Carlo avesse veramente fumato, il Carlo-persona avrebbe contravvenuto alla sua abitudine, così come il Carlo-personaggio, e quindi non ci sarebbe stata nessuna contraddizione tra il Carlo-persona e il Carlo-personaggio; e questa seconda ipotesi era indubbiamente preferibile, perché la scena ne guadagnava in propulsione narrativa, e perché ne avevamo fin sopra ai capelli di storie in cui il protagonista sfigatello è troppo sensibile per divertirsi: quindi si girò la scena usando dell’erba vera, e la dovettero ripetere molte volte perché c’erano i lavori della Metro C che facevano un casino micidiale, e dopo ben quattordici take Carlo, che non era minimamente assuefatto ai cannabinoidi, era decisamente alterato, e se durante le riprese era riuscito a compensarlo con l’adrenalina della recitazione e tutto il resto, tornando a casa gli sembrò che i suoi muscoli avessero un’enorme voglia di rattrappirsi, e una volta arrivato iniziò ad avere dei pensieri foschi, e registrò, con la webcam del Mac, un monologo delirante in cui elencava modi estrosi di suicidarsi, e gli sembrò una cosa davvero profonda, forse la cosa più profonda che aveva mai realizzato, che avrebbe mai realizzato, e decise di pubblicarlo immediatamente. Apriti cielo. Come si permette un ragazzino che fa di una web serie del cazzo di parlare con leggerezza del suicidio? Campagne su campagne di hashtag, quelle a favore e quelle contro, da #ilsuicidiononfaridere a #iostoconES, e Carlo che si sentiva in colpa, o più precisamente si sentiva un coglione, mentre Mathieu in videochiamata Skype contava gli hashtag, con tanto di visiera verde da contabile, e sosteneva che quelli pro-ES (14) fossero in numero leggermente maggiore rispetto a quelli anti-ES (12), e cercava di convincerlo che non aveva fatto nulla di male, e di ricordargli che, prima dei social network, gli unici casi in cui la gente si prendeva la briga di manifestare contro delle opere culturali erano stati i roghi di libri messi all’indice, o gli scontri per le vignette su Maometto, mentre, per dire, quando era stato pubblicato il Mein Kampf nessuno si era particolarmente scandalizzato: quindi tutta quell’indignazione non era nulla di veramente sostanziale, ma solo l’inevitabile effetto collaterale di aver concesso, a delle menti non particolarmente elastiche, la possibilità di esprimere la propria opinione a costo zero; e che anzi, la strada da percorrere non era quella di aumentare l’auto-censura, ma applicare una totale non-censura: tentare di annullare definitivamente, una buona volta, la distinzione tra il Carlo-persona e il Carlo-personaggio, documentando su Twitter e Facebook e Instagram e Pinterest tutti i propri processi mentali, e i propri dubbi, e i momenti di fragilità, per creare empatia, e documentare anche tutta la propria quotidianità, in modo che la gente avesse delle immagini a cui appiccicare questa empatia, e questa empatia non rimanesse così, astratta. Da qui il Nuovo Corso: con un ritmo di postamento (termine di Mathieu) abbastanza serrato, ma non così tanto da sconfinare nello spam, e le storie degli episodi che strabordavano nella macro-storia raccontata da Carlo sui social network, e viceversa, da circa nove mesi; e anche in questo caso Carlo all’inizio si era sentito lusingato dallo scoprire quanti sconosciuti erano interessati a cosa si fosse mangiato a pranzo, o quali autobus prendesse, come se fosse un Re Mida capace di trasformare qualsiasi puttanata insignificante in un elemento di chissà quale mitologia; ma dopo qualche settimana tutto questo si era prontamente trasformato in tedio, e, di nuovo, rotture di cazzo.

Queste, a grandi linee, sono le cinque obiezioni sollevate da Mathieu riguardo all’ultima, ennesima idea di Carlo per l’apertura della terza stagione, l’episodio ESC#01, ovvero la propria morte; e l’idea di morire, in realtà, non è nemmeno una vera e propria idea per ESC#01, ma un’innocentissima mail in cui Carlo, sfinito, ha scritto “e se crepassi?”, e le obiezioni di risposta sono espresse, come al solito, in almeno dodici schermate abbondanti di testo: un po’ perché Mathieu vive in adorazione di un certo scrittore francese dei primi del Novecento che non è certamente noto per il dono della sintesi; un po’ perché Mathieu sente il peso dei 1400 km di distanza e cerca, almeno con le parole, di dimostrare quanto più possibile che è vicino a Carlo e si spende per lui, e non è semplicemente uno che predica pericolosi avventurismi metanarrativi con il culo del suo amico che, dopotutto, ci mette la faccia; e un po’ perché Mathieu assume regolarmente, essendo parte attiva della movida parigina di cui sopra, sostanze appartenenti al quadrante Stimulants della voce Recreational drugs use di Wikipedia: pagina che Mathieu conosce fin troppo bene, in quanto è la porta d’accesso alle fonti che consulta nevroticamente quando è in preda ad attacchi di ipocondria, o di lacrime di coccodrillo, verso le sei-sette di mattina: ma quando non ha attacchi del genere, e gli effetti che non sono ancora del tutto cessati, e si trova a casa, ma di dormire non se ne parla nemmeno, allora risponde alle mail di Carlo, con la luce che inizia a filtrare dalle minuscole finestre del suo semi-seminterrato (nel senso che è una specie di seminterrato rialzato, una cosa abbastanza difficile da spiegare, che Carlo continua a non sapersi figurare troppo bene), ed ha alcune delle sue migliori idee.

La mail di Mathieu, come Carlo si aspettava, non prevede nessuna pars costruens, ma questo è tutto sommato giusto, perché sulle faccende di scrittura il ruolo di Mathieu consiste più che altro nel bocciare le idee che ritiene deboli, o sviluppare quelle troppo timide, come nel caso di ESA#05, in cui Carlo all’inizio pensava di adattare, non copiare direttamente, le parole del suo litigio con Enrica (Enrica, che non gli parlava più da un anno e mezzo, e non si sarebbe mai sognato di darle torto, nessuno al mondo si sarebbe mai sognato di darle torto; Enrica che era stata forse la prima persona al mondo a non farlo sentire sbagliato; Enrica, che ancora poche settimane prima, quando era a letto con trentanove di febbre, solo in casa, e non si era mai sentito così abbandonato in vita sua, Carlo aveva cercato di trascinare  in quella stanza con la sola forza del suo pensiero semi-delirante e delle sue lacrime urticanti da febbre alta, lui che iniziava a ridere prima ancora che si iniziasse a parlare di cose fricchettone tipo le energie; Enrica che aveva dovuto bloccare da ogni possibile social network perché solo leggerne il nome gli faceva risalire dall’intestino all’esofago un palloncino gonfio di elio, e ricoperto di pena verso sé stesso: come ogni volta che pensava a sua sorella, alla pallanuoto, ai suoi genitori, a tutto quanto ci fosse nella sua vita prima del 2014, prima di questa maledetta serie di merda; Enrica che quindi è un pensiero che è meglio, molto meglio ricacciare via, soprattutto adesso che ha bisogno di farsi venire un’idea).

L’idea di chiamare Mathieu e provare a discuterne a voce, poi, è da escludersi, perché a Roma sono le 12:27 del mattino e quindi nel Fuso Orario Ortoli (-08:00 rispetto al GMT, come a Los Angeles: gli orari parigini di Mathieu non sono esattamente sani, e i due scherzano spesso sul fatto che Mathieu è “il loro produttore a LA”) siamo in piena notte: e comunque Carlo non ha avuto, nel frattempo, altre idee, e quindi non ne uscirebbe nulla di buono. Si ricorda che da quando si è alzato non ha ancora twittato nulla, quindi rimedia, un po’ alla buona: “Aspetto l’ispirazione. Pare che abbia trovato traffico”. Va alla finestra per provare a scattare una Instagram, ma non c’è veramente un cazzo di instagrammabile.

Prova a ragionarci con ordine, a formulare qualche magico sillogismo da cui sarà inevitabile dedurre il contenuto di quel maledetto ESC#01, anche se sa benissimo che non servirà a niente: sa che le idee, quelle vere, quelle buone, arrivano spontaneamente, si accendono, ma non come nella metafora sputtanata della lampadina, più come un incendio colposo, un mozzicone di sigaretta che getti dalla macchina senza pensarci troppo e dopo mezz’ora ecco che vedi le fiamme nel retrovisore; comunque, per disperazione, ci prova, ripensa all’arco narrativo delle stagioni: ESA parlava dei cazzi suoi, non doveva neanche sforzarsi troppo, le storie venivano da sole: quello si tresca quella, il tentativo di fare una web serie, i tipi buffi, gli esami, e altre stronzate; ESB è tutta sull’inaspettato successo nazionale di ESA: Piergiorgio che inizia a scopare in giro perché le ragazze lo riconoscono, gli amici famosi, i dubbi di Carlo su dove andare a parare con la serie, Ernesto che lo mette in guardia sui rischi dell’autoreferenzialità… ESC, secondo la stessa logica, dovrebbe parlare della sua incapacità di andare avanti con la serie: ma come ci tiri fuori quattordici episodi? Anzi, come ci tiri fuori anche un solo episodio? L’idea di fissarsi l’ombelico, tanto per dire, l’hanno già usata, in ESB#04YT, ma solo per quindici secondi, e all’interno di una sottotrama sulle difficoltà di Carlo ad accettare il fatto di avere dei peli.

Gli occhi gli iniziano a bruciare leggermente. Perché tanta fatica, comunque, perché rompersi la testa su questa dannata apertura della terza stagione? Non certo in nome dei soldi, o almeno non ora, perché tra il contratto con Sky e i quattro spicci delle visualizzazioni su YouTube non si sta certo arricchendo, ma la parola chiave ovviamente è futuro: nel futuro, non è chiarissimo in che modo, ma nel futuro tutto questo pagherà: si tratta di un dogma sottinteso, che non è mai nemmeno stato messo in discussione: sicuramente non ha mai affrontato esplicitamente l’argomento con Mathieu, per il quale è ancora meno chiaro in che modo essere stato il consulente-ombra di una web serie partita dal basso etc. etc. in un altro paese, e in un’altra lingua, si trasformerà in qualcosa di lontanamente spendibile, non solo sul piano lavorativo ma anche sul piano, boh, esistenziale, nel senso che quando ti chiedono che fai puoi rispondere questo senza sentirti ridicolo.

Nel frattempo @pkuz88 ha risposto al tweet di Carlo: “Mi sa che s’è proprio trasferita, l’ispirazione”, e Carlo ovviamente lo retwitta, perché fare il signore paga sempre, e perché è un signore; ma ecco, ecco arrivata precisamente al momento giusto la manifestazione concreta del motivo per cui deve continuare, il motivo per cui deve andare avanti con ES: non per non deludere la gente ma per metterla a tacere, per dimostrare che è capace di fare qualcosa che nessuno di quegli stronzetti tanto acuti e smartphone-dotati, ovvero dotati dei suoi stessi mezzi, è stato in grado di fare, e, anche se rimane il problema di come cazzo aprire quella stagione, gli sarebbe venuta un’idea, in qualunque modo, magari schiarendosi le idee, parlandone con qualcuno: proverà anche a risentire Ernesto, a capire cosa ne pensa, anche se sa benissimo che gli risponderà con le solite tre parole, un ritornello che è arrivato a odiare:

 

esci di casa

 

e certo, Carlo lo farà, prima o poi, smetterà di scorrere questa cazzo di home di Facebook e si metterà un paio di pantaloni o qualcosa del genere, e per strada farà anche lo sforzo di alzare gli occhi dallo smartphone per qualche istante in più rispetto a quelli strettamente necessari ad assicurarsi una deambulazione senza incidenti, smetterà di fare foto, di refreshare Twitter, interromperà momentaneamente l’auto-documentazione della propria esistenza, la sua continua #autorappresentazione senza gioia, e quale incredibile, grandiosa illuminazione ne ricaverà? Che c’è un sacco di gente, certo: ci sono le famigliole normali, con la madre riccia e il passeggino, di cui da sempre non gliene frega veramente un cazzo a nessuno; o i lampadati che guardano le tv di Berlusconi e sognano il macchinone, e ti imbruttiscono se li costringi a inchiodare, e che ormai non fanno nemmeno più ridere; o le impiegate ministeriali, che bloccano il traffico per parcheggiare in tripla fila esattamente davanti al parrucchiere, le puttane, e pure in orario di lavoro; e gli immigrati, Dio santissimo, gli immigrati, già ampiamente raccontati e contro-raccontati da orde corsare di manoscrittori e cortometraggiari, in storie con il nero buono e il bianco cattivo che diventa buono; per non parlare delle coppie di Prati che si separano, o delle ragazze con qualche trauma alle spalle tipo uno stupro, e che possono andare a farsi riccamente fottere di nuovo, per quanto lo riguarda; e i professionisti con le Hogan, che ormai li prende per il culo pure la Settimana Enigmistica, o i precari, questi cazzo di precari, con le manifestazioni e le iniziative e la “coscienza di classe”: buona fortuna, fratelli, avete proprio capito tutto di come sta girando il mondo; e i cazzo di preti, che Carlo sarebbe morto, lo giura, morto, pur di non dover conoscere una virgola, una sola virgola, della loro pallosissima vita cripto-pederasta di merda; e magari, per non farci mancare nulla, vicino alle facoltà di Architettura, o in qualche quartiere molto specifico, vicino a qualche locale molto specifico, incontrerà qualche ragazzetto o ragazzetta più o meno della sua età, vestito più o meno come lui e cose del genere: e Carlo, quelli lì, li conosce ancora meglio di tutti gli altri, e sa bene cosa c’è dentro quelle testoline: c’è un gomitolo meschino di complessi di inferiorità, e la paura di non contare nulla, di non essere nulla: perché anche loro vorrebbero essere dentro a quegli schermetti che toccano tutto il tempo, e non solo in quelli dei loro quattro amici, ma in quelli di milioni di sconosciuti, come Paris Hilton, o come Carlo: però gli è andata male, agli stronzi: e allora scrivono le loro arguzie, e sbracciano per farsi notare, e fotografano le minchiate che mangiano, e sussurrano insulti attraverso i tubi del riscaldamento: quando, questo ormai l’ha capito benissimo, se solo Carlo li cagasse per mezzo secondo, per mezzo secondo, gli pulirebbero casa con la lingua, e lo urlerebbero al mondo con gioia, gli stronzi: e sono quelli che disprezza di più, i più macchiati dal peccato originale comune a tutti i miliardi di teste di cazzo al mondo, compresi gli africani, gli australiani, i cinesi e tutti gli altri: quello di non essere lui, di non essere esattamente lui, Carlo Maria Rinaldi.