Francesco Zardo, L’arte della fuga

Per la felicità dei lettori più assidui e fedeli di ‘tina, riecco a noi Francesco Zardo, autore scoperto da questa rivista alcuni anni fa ma che io stesso non ho mai avuto il piacere di incontrare. Decisamente bizzarro e misterioso, ogni tanto Zardo sceglie di rifarsi vivo, inviando racconti dalla cifra stilistica sempre personalissima e folle. In questo testo, tanto per fare esempi contingenti, mischia una storia d’amore romana con scenari fantascientifici, considerazioni monetarie sull’introduzione dell’Euro e riflessioni sulla propria struttura cognitiva. L’effetto è ancora una volta spiazzante, se non puramente esilarante. Intanto, forse per sviare i dubbi che gravitano sulla sua persona (o forse, chissà, per accrescerli) Zardo ha anche dato vita, insieme al fratello, a una geniale homepage (www.zardo.org), a cui rimando per ogni approfondimento del caso.

L’ARTE DELLA FUGA

Giorni fa, come sempre stizzito dall’aver perso l’amore di una bella ragazzina francese, stavo comprando un pacchetto di Ms dal solito tabaccaio qui sotto (via G.B. Morgagni, Roma) il quale fatica ancora a convertirsi all’euro, e anziché i convenzionali 2€ e 18, spara sempre cifre iperboliche tipo 4.200 euro, o 218 euro. Oppure se è in crisi arrotonda: 1.000 euri, un euro!, ecc. Già si pongono almeno quattro domande: 1. Fumare nuoce? 2. Quanto vale, in astratto, un euro? 3. Quali sono le basi acquisite di una progressione matematica? 4. Chi è G.B. Morgagni?
Tutto ciò semplicemente per acquistare un pacchetto di sigarette. Immaginiamoci un’intera giornata in cui migliaia di domande (o quattro domande) si diramano a raggiera da ciascuna delle mie percezioni, in un mondo che ci sottopone a un forte bombardamento percettivo come questo di via Morgagni e quelli adiacenti. È normale che io mi confonda. Se il signore mi chiede, per esempio “Ce l’ha spicci?” può succedere che io dia risposte ad altre domande, risposte senz’altro meno pertinenti, ma anche più urgenti, come: “Un medico forlivese del Settecento… Ah, no, niente spicci”.
Chiunque si renderà conto che tale strutturazione del mio pensiero ostacola finanche i gesti più elementari, per esempio la formulazione di un banale racconto. Ci vorrebbe un posto in cui l’indotto esterno sia limitato. Molti scelgono, tipo, i monasteri tibetani, convinti che l’assuefazione, per esempio, a bere tutti i giorni da una medesima ciotola di terracotta o di alluminio possa in qualche modo ridurre la quantità di invasione percettiva.
Non è del tutto vero.
Materialmente, io non ho alcuna possibilità di una concreta fuga dal mondo occidentale, e anzi nessuno ce l’ha. Sarebbe come voler sfuggire alla forza di gravità, un fenomeno che coinvolge – con variazioni non significative – l’intera superficie terrestre. Siete in Tibet? Arriva un monaco più cazzaro degli altri con una lattina di chinotto Neri, e vi spezza l’esercizio spirituale di due anni, per es., che avevate dedicato a concentrarvi sulla non esistenza del chinotto Neri. Basta poco, insomma.

Ma ho letto su Internet che in una base segreta, un gruppo di scienziati progressisti, sta progettando tre basi spaziali orbitanti a bassa quota. L’espressione “a bassa quota”, satellitarmente parlando, significa comunque svariate decine di migliaia di chilomentri (780 km.) dal suolo. I tre satelliti, se realizzati, si chiameranno Loki, Thor, Odino, in omaggio alle mitologie nordiche: non restano infatti molti altri nomi esoterici da attribuire ai corpi celesti, e poi lo scienziato-capo del progetto è un norvegese (che si chiama Kjetil Etivant, o un nome simile). Siccome la gente dovrebbe andarci ad abitare, inoltre, non possono battezzare le stazioni orbitanti con una sigla tipo Snkb441, per es., o altre sigle: non si può. Abitare su Loki comporterà senz’altro domandarsi prima o poi chi sia Loki, ma presenta comunque tutta una serie di vantaggi, a livello di trascendenza.

Pochi i dati tecnici: la messa in orbita dei satelliti artificiali a bassa quota si basa su certe regole del principio di indeterminazione, e sulle equazioni di Planck.

Su una stazione orbitante la vita costa cara: una birretta può toccare i 24-25 euro, in termini di euro. Il prezzo è giustificato, se si considerano gli alti costi relativi al trasporto delle birrette. Il trasferimento su detti satelliti comporterà inoltre la condivisione di numerosi spazi, e un esito collettivo di numerosi gesti che invece sulla spaziosa terra ci succede alle volte di compiere privatamente (cucinare, mangiare, ecc.). Su Loki non si sta male, comunque. Le ragazze hanno i capelli azzurri, di un bell’azzurro, e ben curati grazie ai progressi della distribuzione cosmetica, e soprattutto grazie allo stress minore cui si sottopongono le punte in una condizione di gravità variabile. La tintura è naturale, e si deve a una sorta di henné riflessante a tenuta, disponibile in tre colori di base: cielo terrestre, blu oltremare, blu corvo. Il prodotto è facile da applicare, non stinge, e conferisce alle ragazze lokiane un non so che. Grazie all’uso dei cosmetici, anche la pelle delle ragazze è azzurra, su Loki: la pigmentazione si ottiene grazie a un innocuo trattamento reversibile, basato sulla proprietà refrattiva di certe essenze, sotto l’illuminazione articiale dei corridoi di lassù. Non altera il Ph e dona un bel colore uniforme. Va via con acqua e sapone.
Ora, non è detto purtroppo che questi satelliti vengano costruiti. È anzi probabile che le autorità militari della Nato vadano ad assorbire, anche per il prossimo lustro, qualunque stanziamento scientifico per mettere a punto un nuovo sistema di raggi x, un altro di rilevamento radar terrestre, migliorare i dispositivi di puntamento laser delle armi da terra, e altre cose guerrafondaie.
È un peccato. È vero che le donne lokiane, per come le ho descritte, possono ricordare la comunità dei puffi. Ma l’immagine non è fedele: quei saggi ricercatori che nel laboratorio sotterraneo di Fort Wayne si dedicano al progetto dei satelliti e dei relativi cosmetici si sono ispirati, per l’henné che dicevo, alla serie televisiva Ufo, e nella fattispecie a Gabrielle Drake, sorella del cantautore suicida Nick D., e per inciso tutt’altro che una puffa.
Insomma, ‘sti scienziati non stanno a giocare a Smurf, nel bunker in granito dove fanno progetti e disegni: queste tre basi si adatterebbero ad esempio alle ricerche minerarie, e alla conservazione sottovuoto, con poca spesa, di documenti unici e se no deperibili.

Ma non è l’unica ragione per cui andrebbero costruite le tre basi planetarie, le quali vanno costruite anzitutto per amore dei nostri simili. Mi spiego meglio. Io per esempio amo fin troppo una mia simile, che è francese, chi sa dov’è, chissà con chi, e l’averla perduta mi rattrista ogni giorno. Se costruissero Thor, Loki, e Odino, farei domanda convinta per trasferirmi su Loki, e ho pensato la seguente cosa. C’è una probabilità, se pure minima, che lo faccia anche lei. A reciproca insaputa ci troveremmo su Loki, dunque, un posto abitato da 2.000-2.500 terrestri al massimo, e quindi sarebbe probabile prima o poi incrociarsi in un corridoio inerziale del satellite, o in una delle due birrerie a 25 euro presenti. Svuotato dalle mille domande al minuto che quaggiù mi perseguitano, sarei brillante e seduttivo nell’incrociare per caso Camille nella sua nuova provocatoria pigmentazione azzurrina iperglam.

Su Loki è molto più naturale discorrere piacevolmente in una lingua a scelta, gli stipendi lokiani sono abbastanza buoni, e ci prenderemmo una birretta a 25 euro altrettanto serenamente di quando lo facevamo sulla cara vecchia Terra, a St. Calisto, a Lit. 2.500.

Ed ecco spiegato perché io sono contro la guerra, e favorevole all’amore fra persone. La probabilità che anche lei decida di trasferirsi su uno dei tre satelliti, e poi addirittura proprio su Loki, è bassissima, lo so. Ma questa storia dei satelliti mi darebbe almeno un piccolo margine d’illusione, mentre invece se con gli stessi soldi ci costruiscono un sistema ipersensibile di rilevamento radar a terra, be’, tanto vale che Camillina me la scordo, tanto più nel suo nuovo maquillage azzurrino, sgambettare e sedurmi per i corridoi a gravità ridotta, di una costruzione orbitale in titanio.