CAIO FERNANDO ABREU, “Natura viva”

CAIO FERNANDO ABREU

Della serie “I grandi scoop di ’tina“, ecco un racconto inedito per l’Italia di Caio Fernando Abreu. E’ un testo che Bruno Persico, il suo traduttore ufficiale, ha tradotto per puro piacere personale, dal momento che non è prevista nessuna uscita a breve termine.
Abreu si è fatto conoscere in Italia per un romanzo e, soprattutto, per la straordinaria raccolta di racconti “Molto lontano da Marienbad”, che ha davvero entusiasmato la critica (anche se il successo commerciale è stato, ahimé, piuttosto contenuto).
La pubblicazione di questo inedito vuole anche essere un personale omaggio a questo eccezionale autore, purtroppo prematuramente scomparso lo scorso anno.

Natura viva

a Orlando Bernardes

COME TU BEN SAI, dirai, come un cieco che si muove a tentoni, e cosí dicendo, suppondendo una conoscenza a priori, farai in modo che il cuore di un altro si addolcisca un poco finché non proseguirai, sebbene le tue azioni siano state programmate già da tempo, e farai cose come accendere l’abat-jour nell’angolino dopo aver spento la luce grande della sala per creare un’atmosfera più intima, più raccolta, in modo che non vi sia tensione alcuna nell’aria, pur sapendo a priori di quei tuoi inevitabili palmi bagnati delle mani, degli eccessi del fumo o di qualsiasi altra cosa come quel lieve tremolio che speri non trasparirà dalla tua voce. Eppure dirai così, per esempio, come tu ben sai, ecco, come tu ben sai, la gente, le persone, ahimé, hanno, abbiamo queste cose che chiamiamo emozioni, ed esiterai su quell’ahimé, o come un altro forse domanderebbe, perché ahimé? e cosí, per non allontanarti troppo da quanto hai cominciato, rapidamente aggiungerai una frase qualsiasi del tipo sarebbe proprio una bella cosa se potessimo instaurare un rapporto senza che nessuno dei due si aspettasse proprio niente, ma ahimé, ripeterai con insistenza, ahimé, noi, proprio noi, le persone, hanno, abbiamo emozioni. Riflettendoci meglio: le persone dicono cose, e dietro a quanto dicono c’è quello che sentono, e dietro a quello che sentono c’è quello che veramente sono e che non sempre appare. Ci sono i livelli-non-formulati, gli strati impercettibili, le fantasie che non sempre controlliamo, le aspettative che quasi mai si realizzano. Ma soprattutto ci sono le emozioni. Che non si mostrano mai. Per tutto questo, ahimé, ripeterai, insisterai, completamente disperato, il tuo unico appiglio sarà la mano tesa che, passo a passo, penserai con lucidità penosa, attraverso ogni singola parola starai chissà allontanando per sempre. Ma non riesco proprio a star zitto, allora forse dirai, privo di controllo e un poco più drammatico, perché il mio silenzio non è un’omissione ma una menzogna. L’altro ti guarderà con quello sguardo vacuo, senza capire che il tuo ritmo accompagna il dipanarsi di un paesaggio interiore, assolutamente non verbalizzabile, disegnato tratto dopo tratto in ogni singolo minuto dei giorni e delle notti più svariati in tutti quei mesi addietro, a ritroso fino a quella data, maledetta o benedetta, ancora non hai osato definirla, nella quale per la prima volta il cerchio magnetico dell’esistenza dell’uno, per un caso banale o per magia, ha intersecato il cerchio magnetico dell’esistenza dell’altro.
Nel silenzio che piomberà, penserai, avrai bisogno di fare una cosa qualsiasi, come mettere un disco o improvvisare un gesto, ma forse non farai nulla, perché lui continuerá a guardarti con quel suo sguardo vago in fondo al quale tu, sommozzatore marino, cercherai il minimo indizio di un tesoro nascosto che ti faccia ritornare a galla col sorriso sulle labbra e le mani colme di pietre preziose. Ma in questo silenzio che certamente ti piomberá addosso, forse accenderai un’altra sigaretta e con la bocca secca e chiusa, senza alcun sorriso, eviterai di tuffarti per non correre il rischio di imbatterti in un mostro marino addormentato. Il cuore ti batterà forte, nessuno sentirà, e per un attimo forse immaginerai di poter srotolare le membra e semplicemente toccarlo come se riuscissi cosí a produrre un incantesimo qualsiasi che all’improvviso illumini questa sala con quella luce che stai tentando invano di scoprire anche in lui, visto che dentro di te é già tanto chiara da farsi quasi tangibile. Nitida luce non vista da questo altro che ti sta seduto accanto nella sala lievemente in penombra, dove penetrano a malapena i suoni esterni, come se tutti e due foste prigionieri di una bolla d’aria, di tempo, di spazio. E riempirai ancora il calice con dell’altro vino affinché scendendo per la gola tremante vada incontro a questo bagliore che stai tentando precariamente di trasformare in parole luminose da offrire a lui. Che non dice niente, e non dirà niente, e senza sapere perché, penserai ad un corridoio buio dove ti muovi a tastoni, come un cieco, le mani tese in avanti nel vuoto, col presentimento del niente che tu stesso starai preparando proprio ora, suicida meticoloso, con silenzi mal tessuti e parole fuori luogo, povero essere assetato che si ferisce implorando il pozzo altrui per sedare una sete che nessuno può condividere.
Angeli e demoni dai mille colori svolazzeranno per la sala, ma il cacciatore di farfalle rimarrà immobile, lo sguardo fisso nel vuoto, una sigaretta accesa nella sinistra, un calice colmo di vino nella destra. La presenza dell’altro pulserà al tuo lato, quasi sanguinando, come se l’avessi pugnalato con la tua emozione non detta. Le mani appoggiate a mendaci bengala non ce la faranno a liberare il gesto per rompere questa coltre spessa e invisibile che vi separa. Per un momento allora avrai voglia di accendere la luce, scoppiare in una risata divertita, farla finita con questa farsa, è facile fingere che tutto vada bene, che non siano mai esistite le emozioni, che non desideri toccarlo né conoscerlo, che lo accetti così, amico pulsante, bello e remoto, completamente indipendente dalla tua volontà, da tutti questi tuoi sentimenti non formulati. Nel momento seguente, che sorgerà, gemello tardivo, immediato e quasi contemporaneo all’anteriore, avrai voglia di posare il calice, spegnere la sigaretta e stendere le tue candide mani in direzione di quel volto che neanche ti guarda, assorbito nella contemplazione del suo paesaggio interno. Ma indifferente alla sua distanza, quasi violento, d’improvviso vorrai violare con la bocca arsa da alcol e fumo quest’altra bocca che ti è accanto. Vorrai esplorare palmo a palmo quel corpo che da tempo immagini, finché i palmi famelici delle tue mani non abbiano percorso tutte le vie, finché la tua lingua non abbia infranto tutte le barriere della repulsione e della paura, la tua bocca vorace non abbia bevuto tutti gli umori, le tue narici non abbiano inalato tutti gli odori e tu, da alchimista, non li abbia trasformati in un unico odore, il tuo e il suo insieme – la luce sarà spenta, gli indumenti bianchi scintillanti sparsi per terra. Desíderalo cosí, questo altro, tanto intimo al punto che a volte riterrai superfluo dire qualsiasi cosa, perché ingannandoti supponi che tu e lui, a volte, siate una cosa sola che ti riempie il corpo di una forza nuova, come se un’energia poderosa sgorgasse da un centro lontano, da tempo assopito, chissá, da questa luce occulta, e allora ti accorgerai chiaramente che lui non è te e tu non sei lui, questa cosa, l’altro, che magico o demoniaco, deliberato o casuale, ti infiamma in tal modo allucinandoti l’anima. Lo vorresti pregare che col suo semplice esistere ti mantenga in questa condizione tormentosa e brillante affinché tu possa illuminare anche lui col semplice tocco, con la tua tenera lingua, bacchetta magica del tuo desiderio. Ma lui non sa niente, né immaginerá niente se rimarrai cosí, col timore che una parola o un gesto disastrosi siano capaci di mandare all’aria questa trama nella quale ti avvolgi sempre più irrimediabilmente, ingarbugliato in te stesso, nella tua emozione viva, invischiato nell’ignoto che c’è dentro di lui, l’altro – che dall’altra parte del divano incrocia le mani sopra le ginocchia, innocente quasi, in vigile attesa che tu porti a termine in qualche modo quanto hai cominciato.
Molto più che dell’amore o di qualsiasia altra forma tortuosa di passione, sarà sorpreso che lo starai guardando ora, perché lui non sa niente del suo potere su di te, e in questo preciso istante lo potrai rendere partecipe del fatto che dipende da lui se ti illumini o ti oscuri cosí, intensamente, oppure negargli orgogliosamente di venire a conoscenza di questo strano potere, affinché non ti sbrani impetuoso con le sue unghie ora calme e rilassate, incrociate in punta alle dita sopra le ginocchia.

Ah: fumerai troppo, berrai all’eccesso, annoierai tutti gli amici con quelle storie disperate, notti e notti di insonnia, la fantasia sfrenata e il sesso ardente, dormirai per giorni e giorni, mancherai al lavoro, scriverai lettere mai spedite, cercherai un senso arcano nelle conchiglie, nei numeri, nelle carte e negli astri, penserai a fughe e suicidi ad ogni minuto di ogni nuovo giorno, abbandonato piangerai mattinate intere nel tuo letto vuoto, non riuscirai a sorridere né a camminare solo per strada senza scoprire nell’andatura di un estraneo l’esatta sua andatura, in un odore qualsiasi il suo preciso odore.

E lui non sospetterà che sei perduto ormai, lui che seduto accanto a te stará sprofondando nella contemplazione di questo paesaggio interiore dove non sai neppure che posto occupi, e neanche se un posto ce l’hai. Di fronte allo specchio, in queste mattine mal dormite, accompagnerai con la punta del dito il sorgere di nuovi fili bianchi sulle tempie, l’aspro percorso ogni volta più fondo di oscure valli incavate sotto occhi totalmente disincantati. Saprai tutto di questo amaro futuro possibile. Saprai pure che non potrai più tornare indietro, che sarai interamente soggiogato e che le parole che dirai non saranno mai savie o sufficienti a far sí che questa porta da aprire ora, dopo aver detto proprio tutto, ti conduca al cielo o all’inferno. Ma soprattutto saprai, con una dolce pietà per te e per tutti gli altri, che un giorno tutto passerà, magari con la stessa rapidità con cui è venuto, o lentamente, poco importa. Ma non saprai mai che in questo preciso istante avrai goduto dell’insostenibile bellezza di ciò che è totalmente vivo. Come un trapezista che si accorge dell’assenza della rete solo dopo essersi lanciato nel vuoto, accenderai allora l’abat-jour nell’angolino dopo aver spento la luce grande della sala. E finalmente comincierai a parlare.

(Tratto da “Morangos Mofados”, 1982
Traduzione. di Bruno Persico)