NUMERO 10
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DANIELA GAMBINO

Anni fa ho letto un racconto che mi ha colpito per la grande passionalità che trasudava. Era "Cosa ti piace di me?" di Daniela Gambino, che chiudeva il libro-intervista "Bad Girls" pubbilcato da Castelvecchi. Tre anni dopo, l'uscita del suo primo romanzo (che riprende titolo e attacco da quel suo racconto iniziale) ha confermato l'impressione di una scrittura personale e strafottente, dettata da un'esigenza profonda di mettersi sulla carta e di raccontarsi con una sincerità vitale e talvolta spiazzante. La Gambino è un cuore terrone che pulsa, una ragazza siciliana che voleva molto di più dei pantaloni, un torrente in piena difficile da arginare. Le ho chiesto un racconto per 'tina. Eccolo.

Uguale

La televisione ci ha reso tutti eguali, molto più della Carta Universale dei Diritti dell'Uomo.

Una classe sociale superiore, comunque, continua a esistere e a riprodursi, è un caso, un'anomalia genetica, un testimone che viene tramandato da generazione in generazione. Se non ci nasci non lo sarai mai. Una casta ristretta, colta, ma con una moralità preistorica che non molla il suo piccolo potere.

La casta espelle, insieme agli escrementi, le cellule impazzite che gli danneggiano il sistema.

Il denaro è l'unico antagonista.

Il denaro e la cultura danno potere.

Rico, trentatrè anni portati malissimo, non possedeva né l'uno né l'altra. Rico possedeva venticinque denti su trentadue, sedici unghie su venti, quelle dei piedi comprese, tre amici, di cui uno che si scopava la sua fidanzata, tre nemici, di cui uno che si scopava la sua fidanzata, quattro fratelli, di cui uno che si scopava la sua fidanzata. A Rico non mancava niente, aveva il distributore delle sigarette e quello dei preservativi a due passi da casa. Abitava in un monolocale di un quartiere e di una città, e in più aveva un'autorimessa affittata per poche lire dove si dedicava al bricolage, non faceva lo Yoga e se gliene parlavi credeva che fosse un tipo di succo di frutta. Come tecnica di rilassamento andava sui cavalcavia a sputare di sotto. Questo era la sua dopa. Non faceva parte di nessun target, non esisteva azienda che avesse il suo nome nell' indirizzario. In virtù di questo non pagava neppure il canone della televisione.

Rico era cosciente di essere un morto di fame, convinzione che si era accentuata dopo aver visto in tivvù i serial "Dallas"e "Beautiful". Non viveva nel limbo dell'ignoranza, col cazzo, sapeva di non possedere un jet privato e un cottage nel Montana. Se è per questo non aveva neppure la station wagon e l'antenna parabolica. Ciò gli stava un po' sulle palle, ma quello che gliele faceva veramente girare erano certi programmini dove le conduttrici strillavano felici in posizioni improbabili per poi cadere in cupe depressioni appena ingrassavano di un etto.

Rico rispettava il suo peso forma, i suoi genitori e pure quel rincoglionito di suo nonno. Rico aveva un nome da gelato preconfezionato industriale e qualche persona su cui contare nel caso gli fossero serviti dei soldi o compagnia per affrontare la fila alla posta. Il suo pisello raggiungeva la ragguerdevole misura di ventitré centimetri da sveglio.

Molti vivono un'allucinante esperienza di merda che chiamano vita. Da questa si dipanano esperienze liberatorie come : matricidi, patricidi, interruzioni di gravidanza e uso di stupefacenti, quando non si riesce a raggiungere lo status di impiegato statale o di divo della tivvù.

Rico, cavandone pure un certo divertimento, voleva, fortemente, finire di costruirsi una barca.

La costruiva, così come da solo si era confezionato il monopattino in seconda media, e, prima di trasformarlo in skateboard, l'aveva dotato di un vano porta walkman. Di sua fattura erano la scrivania e il letto di casa, lo stendino per il bucato e l'asse da stiro. Quest'ultima una vera cazzata, un'asse è un'asse.

Rico portava i capelli rasati sulla nuca e faceva il cuoco. Il suo piatto preferito erano le melanzane alla parmigiana, ne avrebbe cucinate anche una cinquantina al giorno, seguendo scrupolosamente i tempi di cottura, tanto? gli riuscivano bene. La melanzana doveva sciogliersi in bocca, sposarsi con la mozzarella, adagiarsi sui pomodori e assorbirne gli umori, profumata di basilico e parmigiano. Rico cucinava e offriva le sue pietanze perché sprigionassero nel palato altrui tutto il suo godimento, e un po' s'offendeva se non venivano apprezzate, allora insisteva, perché non esiste riconoscimento senza insistenza.

Rico non aveva mai voluto imparare niente. Gli eventi avevano scelto per lui. Se era il maggiore dei quattro fratelli era un caso, come per caso sapeva cucinare, piallare, lavorare e riconoscere il legno. Aveva rubato l'arte con gli occhi.

Con gli occhi aveva carpito il segreto per preparare la pasta con i broccoletti e la crema catalana, il pollo glassato e le orecchiette con le cime di rape. Tranciava il pollo in pezzi sul tagliere e sminuzzava la cipolla fine fine perché s'imbiondisse subito.

Irrorava col vino rosso, spolverava di salvia e rosmarino, odorava la cucina di spezie.

Marcello, ventuno anni, di cui tre passati al riformatorio, voleva specializzarsi nella trasmissione del pensiero. "Se i computers comunicano velocemente via e-mail, figurati se gli uomini non possono comunicare con la forza del pensiero", diceva. Per un periodo s'era allenato a comunicare con il calciatore del Napoli Maradona, gli spediva due e-mail mentali al giorno.

E poi, delle volte, certe parole gli arrivavano alla bocca senza che le conoscesse. Era sicuro che alcune parole, malgrado fossero abituate a navigare tra le maglie della rete telematica, una volta spedite gli si impigliassero nei capelli e da lì accedessero al cervello, magari calandosi per un orecchio.

Marcello aveva sognato di diventare un calciatore, ma poi era caduto dal motorino e s'era incrinato due vertebre. Se il tempo cambiava lui si contorceva dal dolore. Una volta, al riformatorio, aveva litigato con uno più grande e questo gli aveva tirato un calcio proprio lì, dove le due vertebre s'incastrano come le costruzioni Lego.

Da bambino pensava d'essere destinato a grandi cose, adesso che era un ragazzetto che camminava sbilenco quando faceva umido, sapeva che non era così. Sentire che provi del dolore è, comunque, sentire che quel dolore passerà.

Marcello arrivò sbilenco, una tarda mattina, a parlare con il padrone del ristorante del centro. Chiedeva un posto di aiuto cuoco." Quando cucino è come se ascoltassi la radio", disse, "è una cosa facile". Fischiettò, la sera stessa, capando patate al fianco di Rico, che se ne stava fermo, ritto sulle gambe, un po' a dare la schiena all'aiuto che ascoltava la sua sinfonia personale.

Non aveva sbagliato le dosi, Marcello, e Rico rilassò appena appena le spalle contratte e mollò venti centimetri, forse venticinque, del suo spazio davanti alla cucina, al nuovo arrivato.

Non c'è niente che non vada negli uomini. Sono esseri biologicamente perfetti e affascinanti, le donne, poi, lasciano a bocca aperta. E' l'amore, l'unione dei due sessi, che lascia un po' a desiderare.

Non è cambiato, l'amore, col tempo, ma le persone sì.

Non pensava che far parte del sesso maschile volesse necessariamente significare dover prendere una posizione. Contro chi?, contro le donne? Non se ne parlava proprio. Di lottare non teneva voglia. A Marcello veniva l'acquolina in bocca solo a sentir parlare di donne, la bavetta proprio. Sua sorella aveva cominciato a pattinare prima di lui, Marcello ruzzolava e Anna sembrava scivolare sul ghiaccio, ma il ghiaccio non c'era, gli arrancava dietro, strisciando i piedi, il fratellino, senza parastinchi o gomitiere come i bimbi moderni. Non era un buon motivo per odiare sua sorella o tutte le altre donne del mondo, anche se la prima della classe era sempre una femminuccia e, in particolare, in seconda media, ce n'era stata una, grassottella e in salute, che faceva i conti a memoria, ridacchiava sempre e al momento di passare il compito diventava di un mutismo assoluto.
Aveva le tettone, la tipa, dodici anni di tettone e non sapere come gestirle. Se la sarebbe fatta, Marcello, anche se faceva spallucce se le chiedevi una dritta sui verbi durante il compito in classe?. Forse se lo sarebbe fatto toccare, la soddisfazione di darglielo dentro, a quella tettona, mai.

Quello che si riesce a odiare sono certe caratteristiche delle persone. Di qualunque persona, aveva odiato la mania dell'ordine di suo padre, o la distrazione di sua madre.

Aveva capito, da un gesto, un'espressione, che il prete del riformatorio era frocio. Una vita vissuta contro se stesso. S'era sentito tradito. Dio non t'aiuta, che lo ami a fare. Vero che sei frocio e lui è maschio come te e ti viene pure facile. Ma non hai pietà di te, come l'avrai di me?

Di corsa adesso, verso la cucina dove Rico l'aspettava al varco. Magari aveva voglia di aprire la bocca e rimproverare. Aveva un rimprovero che gli avanzava, forse perché la sua fidanzata la dava in giro e lui non gradiva.

Parleranno di fiche pelose davanti ai souffle, c'é questa speranza, o il cuoco ha solo una squadra del cuore e le rate del videoregistratore da pagare?

Il cuoco veleggiava, pensando al progetto della sua barca, verso il forno che conteneva le melenzane alla parmigiana. Non gli avanzava nessun rimprovero, solo una mentina tic tac.

Marcello la succhiò mentre preparava il soffritto.

Alessandro fece notare al cameriere che aveva sbagliato a portargli il conto, "ecco, guardi", disse confrontando i prezzi con quelli scritti sul menù.
C'era la sopratassa festiva. Alessandro arrossì, "ma il cuoco", cerco di rimediare davanti a Stella che aveva la faccia di Ornella Muti, "posso conoscerlo?, fa delle melenzane alla parmigiana divine".

Rico e Marcello cercavano di soccorrere una crema catalana che aveva fatto i grumi e videro Alessandro con la sosia di Ornella Muti che si guardavano in giro e facevano commenti sulle varie provenienze del peperoncino. " Non potete stare qui", disse subito Rico, Alessandro, che stava chiedendosi se in quella cucina usavano del peperoncino siciliano o calabrese, arrossì di nuovo. "Volevamo solo complimentarci", disse, " per la sua parmigiana", Stella assunse un'espressione che dichiarava il suo dissociarsi da quell'intenzione, "non volevamo disturbare". "Sa, noi stiamo lavorando, oggi è festa, la sala è piena", spiegò Marcello, Rico fissava Alessandro e la sua bella, gli pareva di averlo già visto, di averlo già colpito col suo sputo quando andava a rilassarsi sul cavalcavia. Alessandro appoggiò una mano sul piano di marmo e si sporcò di farina, " ci chiedevamo", cominciò, "se vi andava di venirle a cucinare al nostro matrimonio", Stella mantenne la stessa espressione di prima. Già se lo gustava, Alessandro, lo stupore degli invitati davanti al tripudio plebeo di melenzane infornate e vino rosso. Avrebbe creato una tendenza : lo sposalizio casareccio.
"Dipende", rispose Rico, "se è una questione di prezzo non c'é problema", disse Alessandro, "non è un problema di soldi e nemmeno di tempo", fece Rico, "ah, no?", si domandò Alessandro, "dipende dalle melenzane, in certi periodi dell'anno non sono buone, quand'è che ti sposi?".

La crema catalana, ormai, sembrava uno di quei mucchi di ciottolini raccolti sulla spiaggia da qualcuno che non ha di meglio da fare.

Alessandro rispose che si sposava in aprile, Marcello scosse la testa, "no buono", mormorò. Ma Alessandro si illuminò, quello era terreno suo, "io sono il titolare di una ditta di import export, non c'é problema, le melenzane ce le faremo spedire dalla Cambogia, belle mature".

Rico guardò Marcello, in Cambogia non c'era un guerra, o sbagliava?, s'immaginò soldati che se le davano a colpi di melenzane mature, "mi consulto col mio aiuto, poi le farò sapere", disse. Era una frase che aveva sentito dire in un telefilm. E poi dicono che la televisione fa male.

Stella soffriva di "sindrome da piccola fiammiferaia", gli pareva sempre di starsene coi cenci, al freddo, a guardare da fuori quelli che si divertivano. Aveva delle amiche con la stessa sindrome che la fomentavano molto al riguardo.

Esisteva un altro bipede, ovunque si voltasse, che aveva un particolare più griffato, più trend, più ipertecnologico di lei e aveva appena trascorso un week-end più stimolante o esotico. Li avrebbe uccisi tutti, ma alla fine sarebbe rimasta sola e da sola s'annoiava, mangiare da sola è un vero strazio, per fortuna c'era Alessandro che non sapeva mangiare da solo neanche lui e l'invitava spesso fuori. Tutte le sue amiche avevano amanti più focosi, più teneri e presenti di Alessandro. Così, almeno, raccontavano. Avrebbe dovuto testarli tutti, Stella, come si fa con le auto, ma non teneva voglia.
"Ma sono due anni che dici che devi lasciarlo", le facevano notare le amiche quando parlava dell'imminente sposalizio con Alessandro. Stella era indecisa. Anche quando faceva shopping era sempre indecisa fra un capo d'abbigliamento e l'altro.

Alessandro voleva un matrimonio semplice. Tutti dovevano restare abbagliati dalla sua semplicità e parlarne per una settimana.

La televisione, la letteratura, i films, la vita non può non tenerne conto mentre si snoda inesorabile.

Un ricevimento sul prato, ecco come i films americani gli avevano ispirato la realtà. Con un po' di buona volontà avrebbe convinto Stella a mettere una coroncina di fiori freschi in testa per acconciatura.

Marcello era stato a vedere la partita allo stadio e nella mischia, qualcuno, gli aveva pestato i calli. Andò comunque a lavorare lamentandosi sommessamente.

Rico era stato alla stessa partita con un paio di amici. E aveva visto Marcello seduto sulle gradinate. L'aveva intravisto di nuovo, mentre lo stadio si svuotava come un formicaio in fiamme.

Era proprio bassetto, Marcello, un nonnulla e lo perdevi di vista.

Quella notte si fece aiutare, calli permettendo, a recuperare un vecchio divano, abbandonato vicino un cassonetto dell'immondizzia, Rico voleva metterlo dentro la sua barca. "Hai una barca?", chiese Marcello sbalordito, "come no", " e che tipo di barca é?", Rico ci pensò un attimo, "è un tipo a modo mio".

Rico aprì la porta dell'autorimessa e il muso, anzi, la prua, della barca, gli venne incontro come un cane affettuoso, "Dio santo, ma è enorme", notò Marcello. Salì su per la scaletta. Per certi versi somigliava a un vascello dei pirati in piccolo, aveva funi e vele ripiegate, le assi del pavimento erano state lustrate a cera, e il piano di sotto sembrava l'anticamera di un bordello, con le tendine agli oblò e i divanetti rossi. Non somigliava a niente che avesse mai visto in giro, eppure ricordava molte cose. "C'è pure il bagno", disse Rico, e aprì un piccolo ripostiglio con tazza e lavandino, " e la cucina". Pendavano trecce d'aglio e c'era pure una padella sul fornelletto, come se i pirati avessero appena mangiato un piatto di spaghetti con aglio, olio e peperoncino.

"Scommetto che la dispensa è piena", osservò Marcello, "ci hai preso", disse Rico compiaciuto e aprì un piccolo armadio a parete stracolmo di scatolette.

Era pronta per salpare la sua barca, e a Marcello, quando si richiusero il garage alle spalle, mentre ancora scuoteva la testa incredulo, venne un atroce dubbio, "mi chiedevo, ma come farai a tirarla fuori di lì?", domandò. Rico s'accarezzò la testa proprio dove si rasava i capelli e sorrise : "è semplice, non la tirerò mai fuori". Non passava dall'apertura, la sua barca, nè si sarebbe mai potuto abbattere il garage che le abitava attorno come un amante inopportuno fino a soffocarla: "E poi, per andare dove? , non è detto, è così bella, ma forse non galleggia". E bisognava anche finirla, non c'era la poppa e nemmeno il timone, " e dove vai con una barca che non sai governare?".

A Marcello era piaciuta Stella, la sognava ogni notte, che arrivava da sola, dentro la cucina, e lui le chiedeva, "vuoi fare un giro in barca?" e la portava dentro il garage di Rico. Si baciavano seduti su un divanetto rosso e lei diceva "voglio stare qui tutta la vita".

L'idea della coroncina di fiori freschi non era male. Alessandro doveva averla vista al cinema, però Stella era indecisa, una sua amica si era sposata con in testa una specie di fiocco che la faceva sembrare una bomboniera e tutti l'avevano trovata molto di moda. Pensava di passare dallo stesso acconciatore.

A un certo punto le cose si complicano, prima ti mettono nuda a fare il bagnetto col cuginetto coetaneo, quando c'hai tre anni, e la vista di una corpicino di bimbo nudo è sana e naturale, e poi gli anni passsano e non solo il tuo corpo si disfa ma anche la tua morale.

Perchè la fidanzata di Rico non gli telefonava da due settimane, quale vista di un corpicino nudo l'aveva distratta e la smania di possedere e di essere posseduta avevano fatto sì che non componesse più quel numero?.

Alessandro avrebbe sposato Stella, anche se lei era certa che lui non fosse capace di immaginarsela a memoria, nuda, dietro gli occhi chiusi, non si era accorto della carne morbida e bianca delle sue braccia e la sua lingua rosa non si era mai appoggiata nel solco fra i seni. Le amiche di Stella raccontavano altro, di discese fra le labbra e di lingue morbide e instancabili.

Non poteva finire così, per lei, almeno per l'addio al nubilato, voleva una discesa a rotta di collo per tutte le insenature del suo corpo non più bambino.

Rico viveva i suoi momenti ogni momento. Marcello aveva paura che perdesse il controllo di sé. Ma Rico non sbagliava le dosi, in cucina, ma forse una dose troppo forte d'affetto può allontanare le persone, anziché avvicinarle, si chiedeva, forse era stato troppo accondiscendente con la sua donna?.

"Perchè stai così?", gli domandò Marcello, la cucina, quel giorno, era stata invasa dalle melenzane cambogiane, "queste", le indicò, "non parlano la nostra lingua".

"Xenofobo", pensò Marcello, quella parola nuova, forse, gli era entrata in un orecchio dopo essersi perduta fra una e-mail e l'altra.

Ma Marcello non delirava, il lungo viaggio aveva gonfiato le melenzane di lingue e idiomi diversi, le parole non gonfiano solo le persone, ma anche le cose, gli animali e gli ortaggi.

Fuori infuriava lo sposalizio e sul prato della casa di campagna dei genitori di Alessandro, sferzati da una lieve brezza primaverile, stretti nei loro spolverini troppo leggeri, gli invitati seguivano la funzione del prete, "onoratevi, rispettatevi", diceva il parroco che, Marcello lo riconobbe subito, era lo stesso parroco omosex della sua infanzia, "continua a infarcire di cazzate il mondo," pensò sulle prime, ma poi, quando lo vide distribuire l'ostia con una faccia cerea e compassata, non fu più tanto sicuro. Forse non era veramente lui, il prete, somigliava a troppe persone, incontrate in diversi angoli del mondo, in occasioni diverse, e tutte così: sicure dei loro gesti e di quel che dicevano.

Stella si guardava instancabilmente attorno. Marcello ne incrociò lo sguardo un paio di volte e venne trafitto da una raffica di ormoni e di sensazioni represse. Le stesse sensazioni che la fecero rinchiudere, mezz'ora dopo, nello stanzino delle scope e dei bidoni aspiratutto della casa dei suoceri, insieme all'aiuto cuoco, che la sbucciò come una patata con suo sommo piacere.

Marcello, e soprattutto la sua schiena, obbligata all'accoppiamento sessuale in piedi, ricordarono per sempre i minuti rubati nello sgabuzzino, e l'odore dei capelli di lei ornati da una coroncina di margherite.

Alessandro non si sarebbe accorto di nulla se le melenzane extracomunitarie non avessero rivelato tutta la loro estraneità alla casta risultando insipide e troppo unte. Cercò nella neomoglie un'alleata, per potere, insieme a lei, chiedere scusa ai presenti, per l'inadeguatezza della pietanza.
Notò la porta dello sgabuzzino solo perchè il gatto di casa la grattava con le unghie chiedendo a gran miagolio di entrare per poter espletare le sue funzioni fisiologiche, in quanto lì, dimorava anche la cassetta dei suoi bisognini.

Stella, fra le braccia di Marcello, aveva una presenza che non le aveva mai conosciuto. Pareva che lo preferisse a lui. Anzi, realizzò, mentre s'affrettava a richiudere la porta dopo aver fatto entrare il gatto. L'espressione di Stella era pura, spacciata, preferenza: mai vista più contenta.

Distolto, a forza, dall'illusione infantile di essere unico e insostituibile, e per questo perfetto, Alessandro, mentre si scusava, da solo, per le melenzane cambogiane malriuscite, riscopriva i difetti del suo corpo e le inflessioni del suo modo di parlare che trovò spocchioso e irritante. Le parole che usava erano le stesse di qualsiasi conduttore tivù. Sovrapponibili, come un linguaggio fuori sinc. Lui stesso era interscambiabile e per questo uguale. Uguale a chiunque altro.

Gli sarebbero occorsi parecchi soldi spesi in psicoanalisi per venire a capo di quel senso di scoramento. Soldi che, talaltro, possedeva, anche se in quel preciso istante avvertì d'essere stato espulso, a forza, dalla sua casta di appartenenza.

Stella macerava nel mare d'afflizione che le provocava la "sindrome da piccola fiammiferaria". Quando raccontò della sua avventura con l'aiuto cuoco, scoprì d'essere stata surclassata: una sua amica, il giorno delle proprie nozze, si era accoppiata con il neocognato, il neosuocero e in ultimo col pasticcere della sua torta nuziale

Dopo il fallimento delle sue melenzane e la dispersione nell'ambiente della sua fidanzata, avvenimento imputabile a null'altro se non alla sua distrazione e al miraggio della barca che tutto l'assorbiva, Rico, si prese una vacanza per terminare in fretta il suo capolavoro ligneo e potere, così, dedicarsi con maggior lena all'inseguimento della sua fidanzata , che aveva ormai, nella sua mente, i contorni sfumati e insignificanti di un ectoplasma.

Si assentò per due mesi dal lavoro. Quando, una mattina, con i capelli non più rasati, ma che gli sbucavano rigogliosi dal collo della camicia, tornò nella sua cucina, scoprì di essere stato sostituito da uno stimato e brillante cuoco professionista tunisino.

Marcello li presentò, si strinsero la mano, bevvero un bicchiere di vino, mentre che, il professionista, lo usava per irrorare le carni che odoravano di cacciagione.

Più sollevato che spaventato dalla scoperta d'essere sostituibile, Rico, tornò nella sua autorimessa e da lì non uscì mai più, neppure per andare a sputare dai cavalcavia. Rinunciò all'obbligo morale di doparsi, piallando e lucidando il legno della sua barca che cresceva in bellezza, e dove, di notte, si rintanava come un topolino, destinato a perdere il senso del tempo. Lì smise di contemplare il teleschermo, il ricordo della sua cucina, la misura del suo pisello e il numero dei suoi denti. A Marcello, che gli dedicava diverse e-mail mentali al giorno, e gli chiedeva, ripetutamente, se gli
servisse qualcosa, rispondeva che poteva benissimo far senza. "Ma perchè non esci più?", lo esaperava il suo Aiuto, "perchè non demolisci quella cazzo di autorimessa e ti cavi fuori, tu e la tua barca?. "Per andare dove?", gli rispondeva Rico, "dove vai con una barca che non sai governare?".

Marcello, aggiungeva tasselli al romanzo che andava scrivendo sulla vita di Rico. Parole su parole, ingombravano la sua mente, impigliandosi fra i capelli, fra le maglie della rete, nelle comunicazioni fra cellulari. Si calavano giù dalle sue orecchie e andavano a fermarsi sulla carta. Quella storia esisteva finchè ci stavi in mezzo, ma intuivi che potevi, benissimo, far senza. Bisognava scriverla, prima che si biodegradasse nell'ambiente.