NUMERO 9
AGOSTO 99
 

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MASSIMILIANO SANNA

Massimiliano non è una mia scoperta. Questo racconto in realtà me l’ha segnalato Carmen Covito dichiarando che, fra gli innumerevoli testi che riceve di aspiranti scrittori, quello che ha trovato più divertente era proprio quello di una persona che non ha alcuna ambizione letteraria: il suo webmaster. Eh sì, perché Massimiliano Sanna sta a Carmen Covito come Laura Biagiotti sta a Matteo B. Bianchi. Noi scrittori telematici infatti abbiamo il nostro bel sito Internet, ma siamo dei perfetti ignoranti di applicazioni html e abbiamo bisogno di qualche genietto che realizzi e impagini tutto per noi. Sul fatto che Laura sia una santa a fare questo per me mi sono già espresso altrove. Qui invece mi esprimo sulle abilità narrative di Massimiliano, che ha scritto una cronaca sentimentale davvero ironica e scoppiettante, in perfetto stile ‘tina. E grazie a Carmen per la dritta!

La legge di gravità funziona solo per le stronzate(1)
CRONACA PARZIALE E SORNIONA DI COME E PERCHÉ
SI ARRIVA AD AVERE UN VENERDÌ DA CANI
(MILANO, VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1997)


Ci sono delle giornate che non so se sia meglio dimenticare o meglio ricordare, ma solo per imparare. Ebbene, il giorno del Signore che me la mandi migliore venerdì 28 novembre 1997 dalla nascita di Nostro Salvatore Gesù Cristo è stata una di quelle.
Se lo scrivo è perché ho deciso di ricordarla e di imparare. Ma non solo. Perché il genio, come si declamava in Amici Miei, spunta e sgorga proprio nei momenti più difficili. E per quanto riguarda quest’essere misero, errabondo e ramingo per il mondo che sono io, il genio serve per uscire da una situazione in cui si prendono le bastonate non solo con dignità e orgoglio, ma anche con stile, che è la cosa più difficile e a cui molti altri colpiti dalla mia stessa sventura non penserebbero mai.
Detto questo, in quella triste giornata mi alzavo trepidante in preda a mille ansie e dubbi tipici di chi ha a che fare con la razza dominante del pianeta terra: le famigerate Donne. Razza Padrona, razza colma di risorse, razza astuta e predatoria, razza capace di ricordare per l’eternità e di obliare in un batter d’occhio, razza vendicativa e razza infinitamente dolce. Razza Padrona, caro il mio Hegel!. . Notoriamente una miriade di pratiche assolutamente insensate e casuali pullulano il mio tempo di maschio terreno in attesa di notizie da una Donna. Così ecco che mi metto a spazzare il letto, rimboccare per terra, scaricare i piatti da Internet e a lavare la posta elettronica. Non possedendo né radio né tv, quando non so dove parcheggiare i dobloni, mi accendo una sigaretta dietro l’altra, e giro per casa cantando le sigle dei cartoni animati, o sboccheggio dei riff di chitarra elettrica inventati sul momento. Dopo cinque minuti accendo il computer e faccio fuori qualche tonnellata di mostri a Wittgenstein 3D. Poi, siccome devo anche fare il mio ultimo esame all’università, filosofia contemporanea, ogni tanto leggiucchio qualcosa di filosofia analitica, a cui gioco al livello “Damn I’m Good!”, insomma in maniera che ci sia un po’ di gente tipo me, che guai se parlando ci sgarri una parola che ne facciamo un caso internazionale da nouvelle cousine. La nouvelle cousine, non viene a caso, è troppo fitness, mentre io mi oriento più sulle specialità delle massaie di una volta: tanto e buono. Anche perché oggi, o ci pensiamo noi maschietti a queste cose, altrimenti le femminucce che sanno cucinare stanno diventando una rarità. Infatti io alla leggiadra donzella oggetto di questa storia e che per ora non ho nominato, devo offrire:
1.    Una cena (o un pranzo)
2.    Un aperitivo
Il punto cruciale e dannatamente controverso è il secondo. Cioè l’aperitivo. La cena è di là da venire e chissà mai se ci sarà… Ma l’aperitivo, Cristo, quello sì che è il tormento e la delizia di questo mio bello scrivere. Chiarimento fenomenologico. C’è una Donna a cui io devo offrire un aperitivo. Perché? Boh, non me lo ricordo, è cosi e basta. Insomma glielo devo offrire ma non glielo posso offrire. Non ho soldi? Macché, non ne avrò tanti, anzi vorrei averne di più, ma diamine, un aperitivo ci esce. Non so dove portarla? Figuriamoci se un volpone come me si ferma davanti alla propria antimondanità, anzi mi vedo già: jeans scuri, maglioncino nero a collo alto, pizzetto, emmeesseextralights in bocca e sguardo languido.
Il problema è che manca lei, la Donna. No, non perché ne stia disperatamente cercando una qualsiasi. Voglio dire, lei c’è, si chiama Iena (cioè, così l’ho chiamata io e poi si capirà perché) ha 23 anni, (quasi 24), dice di essere alta 1,65 ma secondo me ha qualche centimetro di meno, ha i capelli neri, gli occhi neri (e se non sono neri io li vedo e continuerò a vederli neri) tutte le curve femminili (non come quegli attaccapanni di MilanoCollezioni), ha una risata che ci sarebbe da strangolarla da quanto è urtante, ma poi ci si fa l’abitudine e ora per me fa tanto parte di lei che non so cosa farei per sentirla più spesso, quella risata. Inoltre, e senza dire questo non ho detto nulla, è di Nuoro anche lei come me. A un mio amico che mi raccontava delle sue vicissitudini sentimentali, ho accennato, così pur parlè, che io ero interessato, ma non sapevo bene come e perché, a una certa Donna, e gli ho detto tutte le cose che dicevo prima… e fin lì, si faceva conversazione. Ma quando gli ho detto che era di Nuoro, si è scatenato il putiferio. Insomma chi mi conosce ben sa che io praticamente non ho mai varcato i patri confini in tema di Donne, se non per qualche scaramuccia da niente. Sarà perché quella nuorese è Razza più Padrona delle altre… Comunque il mio amico, che ha sempre delle teorie interessanti, sostiene che si tratta dell’odore del culo. Lui dice che noi uomini, anche se non ci badiamo più, abbiamo un senso dell’olfatto ancora piuttosto sviluppato, e che in faccende come questa, l’odore del culo è fondamentale. Sarà, ma chi si immagina di dire alle prime battute con una ragazza, “mi piaci perché mi piace l’odore del tuo culo?” Quella come minimo poi si fa il bidet 30 volte al giorno, o peggio, se già è stitica, smette del tutto. Scatenerei un inquietante caso di anoressia anale!
Tornando ai nostri fatti, ebbi a sapere dell’esistenza di questa Iena sul finire di luglio anno del Signore ecc. 1997, quando lei, intrepida internauta, ebbe la ventura di imbattersi, tra mille cliccaggi di link, nel mio sito in cui riconobbe un volto come quello di colui che “...mi fa ritornare al mitico anno di prima liceo scientifico E. Fermi, sezione E,...quando tu eri in quinta...con il mitico Capretta meglio noto come Antioco Porcu (ce l'avevo anche io la Capretta!). E mi fai venire in mente una lezione con quello stronzone di biologia... Cossu… Io a morire all'interrogazione e tu nel corridoio a suonare una scopa (che con molta immaginazione poteva essere una chitarra elettrica…) insieme al tuo collega Giangy... Sei tu quel ragazzo che ricordo con i capelli lunghi e biondi?”
Io, a tutt’oggi, sono quel ragazzo coi capelli lunghi e biondi.
Di là parte un tranquillo scambio di e-mail e poi chattate su ICQ, finché, informatica galeotta, ci si vede in occasione dello Smau ’97, che per chi non lo sapesse cade a metà ottobre. Perché tutto questo tempo prima di incontrarsi? Beh, diciamo che prima di tale data non è che ci fossero chissà quali ancestrali motivi per farlo; inoltre non ho ancora dato le coordinate geografiche dell’intera vicenda. Ecco, la Iena sta a Pavia… Ah, beh, Pavia da Milano sono migliaia di chilometri, non c’è verso di arrivarci ecc… Insomma non arrabbatiamo delle scuse! Pavia è a mezz’ora da Milano, comodamente raggiungibile in treno a costi contenutissimi. Se questo non contava prima, conterà dopo, eccome, ma nel senso di rendere ancora più grottesco il mio venerdì da cani… Insomma allo Smau vengo travolto questo esemplare di Razza Padrona che è un tutto dire, prendere, fare, girare, parlare, viaggiare, scroccare, ridere, sghignazzare, urlare, provare, assaggiare, rubare, fregare e mentire… una specie di missile, che fra l’altro sembra non ascoltarmi quando parlo, anche perché se la cosa non le interessa taglia corto senza troppi problemi. Una testina funzionante e danzante, ecco. In tale sede, rimango adunque colpito dalla verve del soggetto, oltre al poter constatare che rientra fisicamente nei Miei Personali Parametri di Maastricht. A questo punto, è necessario saperlo, entra in gioco la mia storia sentimentale dell’ultimo anno, che, ahimè, ha ben poco da raccontare, se non di ferite rimaste aperte e inquietanti dubbi su decisioni prese tempo addietro, e che comunque (volente o nolente) è la storia della messa in pratica di un trend ben preciso: Single. Che a fare i conti mi ci trovo anche bene! E questa considerazione non va scordata, è importantissima per capire che quello che racconto ha poco a che vedere col canonico “mi sono innamorato, ma non so se lei mi vuole”. Comunque dal 10 ottobre 1997 sono ancora più single, in quanto abbandonato l’appartamento condiviso con amici, sono andato a vivere da solo “solo” in una specie di deserto dei tartari di 80 metri quadri dove attualmente posseggo n°1 sedie… Altri dati tecnici fondamentali di questo tipo, li darò in seguito.
Essere Single, non è uno scherzo. Per prima cosa mi incazzo quando vado all’Esselunga perché le cosce di pollo a 3000 lire al chilo le trovo solo nella confezione famiglia, del tipo che mi devo comprare un barrasone (2) da otto cosce per poter risparmiare. È vero che le posso mettere in freezer separate, ma siccome non ho la macchina e vado a fare la spesa in bicicletta con lo zainetto, se compro quelle poi mi ci sta un pacco di pasta Fidèl da mezzo chilo e poco altro… Voglio approfittare dell’occasione anche per aggiungere che l’Esselunga dove vado ora non mi piace per niente. È quella di via MacMahon. Non mi piace per due motivi: primo, non ha il parcheggio per le biciclette, (dove andavo prima, in viale Cassala, c’era). Secondo, i corridoi fra i banconi sono molto stretti, e stretto è lo spazio che c’è all’uscita delle casse, per cui quando pago sono nella difficile situazione di dover imbustare tutto in fretta e da solo (le commesse che imbustano sono rimaste solo a Nuoro) pressato da chi mi sta dietro che vuole cominciare a imbustare la sua spesa, perché con questi lettori di codici a barre a infrarossi o laser che siano, la spesa viene battuta in un attimo… poi non posso nemmeno sporgere il carrello fuori dal tunnel della cassa perché altrimenti vengo travolto dall'impetuoso traffico scarrellante del supermercato. Il massimo della sfiga ce l’ho quando la mia spesa viene relegata dalla parte opposta dello scivolo della cassa con quella specie di spartiacque malefico che io odio tanto, e davanti a me c’è poi qualcuno che sta ancora imbustando dalla parte interna e ha il carrello ancora nel tunnel… un casino… Perché scrivo tutto questo? Perché il genio si vede anche in queste situazioni, a dimostrazione che non funziona solo quando c’è di mezzo la Razza Padrona, ma è invece uno strumento di sopravvivenza quotidiana. Infatti, quando è stato introdotto il pagobancomat, ho colto la palla al balzo: prima pagare la spesa col bancomat significava caricare di 3000 lire di commissione ogni volta che facevo la spesa. Siccome le mie compere oscillano intorno alle 50Klit settimanali, che cazzo la compro a fare la pasta Fidèl se poi mi devo cagare il risparmiato in commissioni bancarie? Insomma col mio bel pagobancomat, adesso, do mille lire al mese a quelli della Cariplo e posso usare la mia Moneta Light a gò gò, e quindi all’Esselunga pago solo con quella. Questo mi permette di dilatare i tempi di pagamento tenendo occupata la cassiera che sviolina la mia carta dentro il lettore e poi deve aspettare la conferma della banca e la controconferma che io le batta il codice segreto e che poi l’aggeggio le stampi lo scontrino… senza che possa iniziare a laserizzare la spesa successiva. E io nel frattempo imbusto come un dannato. Se invece sono particolarmente indietro, zot! basta sbagliare apposta il codice segreto che mi prendo un bonus di Extended Imbusting Time, che volendo mi imbusto anche la cassiera. Poi ci sono altri piccoli trucchetti, come per esempio, porgere la Fidaty Card a metà laserizzazione, oppure, sempre a metà del flusso, chiedere “Mi dà un sacchetto, scusi?”… Espedienti che spezzano il ritmo e disorientano per un attimo la cassiera e ti danno il tempo di recuperare sul panetto di burro (Fidèl) o sulla confezione di zucchine (che è sempre rognosa da infilare dentro lo zaino) finiti in fondo allo scivolo.
Questa è la classica e turbolenta conclusione delle mie escursioni all’Esselunga, che poi per il resto ha quasi solo lati positivi, come il fatto che all’Esselunga si vedono un bel po’ di esemplari di Razza Padrona, col pregio che mica sono agghindate per andare a prendere un aperitivo, ma si possono cogliere nella loro spontanea naturalità quotidiana… Ho sempre pensato che un giovane essere maschile che fa la spesa da solo in fondo ispiri tenerezza e fiducia nelle Donne, ma a me manca del tutto la faccia tosta di approfittare della situazione. Fatto sta che quando vado a fare la spesa mi innamoro sempre perdutamente di qualche volto femminile che scruta i prezzi degli assorbenti con le ali o con le zampe (corridoio dove entro apposta, visto che ci compro quasi mai nulla, lì), di qualche mano che rigira un barattolo di marmellata senza zucchero, di qualche sguardo, che come il mio, non va all’Esselunga solo per fare la spesa… Ma ora basta con queste sdolcinatezze da supermercato!
Mi viene da precisare che la (mia) Iena non penso che sia fra quelle che si agghindano per andare a prendere un aperitivo. Non ne posso essere sicuro visto che non ce l’ho portata, ma credo che sia proprio così. Lei stessa, ritenendo che io fossi in difficoltà nell’individuare un luogo adatto in quanto io sono antimondano, mi ha detto che “se proprio ti crea così tanti problemi portarmi in un posto per farmi tazzare(3) un aperitivonzolo come si deve, possiamo anche acquattarci in un angolino di stazione centrale a fare i barboni...la cosa non mi crea problemi! ...e non sono schizzinosa... potremmo sempre chiedere se ci danno du'cento lire...”
Ecco, a me questa quotidianità fa morire, mi fa sentire… non so come dire...
Comunque io devo portare Iena a prendere un aperitivo e il problema è che manca proprio lei. Perché manca? Perché è un bidone continuo. Non parlo di abitudine, ma di clamorosa concentrazione temporale di bidoni. Nel giro di un mese o poco più me ne ha rifilato una serie… tutto con telefonate di disdetta all’ultimo momento! È chiaro che ci ho fatto il callo. L’ultimo bidone risale a domenica 30 novembre, quindi dopo il mio venerdì da cani. Tuttavia per capire cosa è successo venerdì bisogna prima capire cosa doveva succedere domenica perché il tutto era stato programmato di venerdì. Il complesso dei fatti parte martedì 25 con il fatto che io, essendo orgoglioso WebMaster alla prima esperienza per il sito di una scrittrice come Carmen Covito, e capitando di venire citato da lei in una intervista sull’edizione telematica di Repubblica proprio per questo ruolo, spedisco un messaggio a tutti i miei buddies di ICQ (fra cui la piccola Iena), in cui indico l’URL presso cui è possibile leggere l’intervista. La Iena mi risponde facendomi i complimenti per la riuscita e dicendomi che diventerò famoso e che mi dimenticherò di lei e balle varie… Si badi al fatto che mica io sono un tonno in scatola: senza troppo scherzare, io le avevo fatto passare, fra una chiacchiera e l’altra, che sì, che lei mi piaceva, e che ero un po’ imbarazzato dal fatto che ci fosse mio cugino Giangy che spingesse perché io e la Iena combinassimo qualcosa di intimo insieme… Giangy la conosce da quando era piccola. Lui la chiama Streghetta perché lei gli andava a scroccare sfrontatamente l’altalena. Già all’epoca non era uno spirito quieto.
Il punto cruciale della e-mail di risposta al mio atto di narcisismo, è un del tutto gratuito soggetto della mail che è esattamente: “webmaster…del mio cuore…;-)”.
Ma voglio dire, ma come si fa a trattare un misero uomo in questa maniera? In quel momento non ragiono più, non capisco che magari è solo un modo affettuoso che non implica null’altro, che si potevano dire mille altre cose, che se sono il webmaster del tuo cuore cosa ci fai ancora lì a Pavia e perché invece non sei qua, e perché mi hai mollato tutti quei bidoni, perché se sono il webmaster del tuo cuore dovresti spostare mari e monti e affanculo a tutti gli impegni e venire qui da me ad abbracciarmi e baciarmi, oppure trascinarmi a Pavia e chiudermi dentro in un armadio o chissà dove, così come fanno tutte le Donne che quando ne beccano uno poi non lo fanno più scappare. Insomma, piccola Iena, perché mi dici queste cose? Che scherzare va bene, ma dillo e ridillo e poi uno ci crede e si prende una sbandata di quelle proverbiali, che te l’ho detto che se non ti vedo mi attacco al tubo del gas e tu mi hai risposto che vieni al mio funerale, che questo, che c’ho bette(4) cotta per te, così a chiare lettere te lo voglio dire in faccia, con i tuoi occhioni indagatori che incocciano i miei, che anche quelli mica scherzano, ma che se ti dico che mi attacco al tubo del gas, mica vorrà dire che vorrei che ci tra noi ci fosse una calorosa discussione sulle vittorie dei sindaci dell’ulivo…
E che cazzo, mi dici che sei diventata una Iena perché tutti ti saltano addosso senza gentilezze, e io che mi metto tutti questi problemi, che sono così dolce e discreto che quasi quasi mi installo l’inginocchiatore per ICQ per farti una cavalleresca dichiarazione d’amore via chat, e tu che mi sbidoni alla grande ogni 3X2, e lo so che hai capito tutto che mica sei una zucca vuota, e allora perché??? Ecco, uffa!
Per dirla in altri termini, non capita tutti i giorni di sentirsi così alla veneranda età di 26 anni, e io pensavo anche che non fosse più possibile perdersi in quel mare di estasi adolescenziale… Ma proprio perché ho 26 anni e non più 16 e di Razza Padrona alle spalle ne ho già un po’ con relativi strascichi più o meno incazzati, mica pensavo di andare lì e dirgli di sposarmi, o di diventare la mia fidanzata, o peggio, la mia Donna, o che altro del tipo, “cioè, sì dai ci vediamo ogni tanto, siamo adulti, si fa sesso senza troppi problemi…”, piuttosto che più pittorescamente che “ti devo mettere le mai addosso che mi arrappi che non ce la faccio più!” eccetera eccettera eccettera… I 26 anni se servono a qualcosa, servono a tapparsi la bocca e il cervello quando si sa che nei rapporti con la Razza Padrona tutto cambia ogni 5 minuti e non è il caso di fare delle proposte avventate o di programmare alcunché. A 26 anni spero di avere anche le palle per dire come stanno le cose senza il timore di essere cortesemente o meno accomodato all’uscita. Altrimenti non si può fare, né sperare.
Questo tubazzo di aperitivo per me significava anche questo o, ancora prima, significava che se una persona non la guardi in faccia come fai a vedere come ti guarda lei? Era una questione di sguardi. Voluti fortissimamente. Non come un mio amico che sale in tram, timbra il biglietto e si siede, e di botto si alza uno che lui nemmeno cagava anche perché aveva il walkman e in genere pensa agli affari suoi, cioè uno che inizia ad accusarlo “Tu mi stavi fissando” “Ma chi? Io?” “Si tu mi stavi fissando” “Ma non ti stavo guardando, sono entrato, ho buttato uno sguardo, ho timbrato e mi sono seduto…”. E allora disturba il signore seduto affianco “È vero che mi stava guardando?”. E quello, che doveva essere appena uscito da un convegno su Essi ci guardano dalle torri di Ballard (di cui io ho fatto la regia a quattro mani al teatro dell’università) gli risponde che “Tutti ci guardiamo”. Geniale.
Per dire che c’è gente così demente da non voler essere nemmeno guardata. Ma cosa facciamo allora? Ci odoriamo? E così torniamo alla teoria dell’altro mio amico, quello dell’odore del culo. E allora un giorno salgo in tram e timbro e do una sniffata in giro e mi siedo e quello mi fa “Mi stavi odorando!”. E che accidenti gli rispondo? “Per forza, puzzi e non posso fare a meno” oppure “Senti, pensala come vuoi, ma sono raffreddato” oppure gli dico “No, non ti stavo odorando”, e quello si rivolge al signore seduto affianco e gli richiede se lo stavo odorando, e quello, appena uscito da un convegno su Essi ci odorano dalle torri di Ballard (c’era un periodo in giro in università l’idea di fare un teatro degli odori, ma non se n’è fatto nulla), gli risponde “Tutti ci odoriamo”. E certo che tutti ci odoriamo, ma non è geniale come guardarsi… nessuno è stato definito un genio o un poeta per essersi odorato o per aver subodorato qualcuno, ma sullo sguardo si sono cimentati in cantastorie, poeti, narratori, romanzieri, musicisti, scienziati, politici, giornalisti, gente comune e supereroi… Non è la civiltà dello sguardo la modernità? Cos’è, che i postmoderni, adesso, smettono di guardare? E dove lo mettiamo il cinema, la televisione, Internet e i cartelloni stradali? In culo si direbbe… beh, secondo me poi dovrebbero essere più profumati ma, capiamoci, vederli è un’altra faccenda!!!
Che dire poi del fatto che sono un WebMaster? Il webmaster non è altro se non un ammaliatore di sguardi, è quello materializza un’idea sul monitor del computer, e nella finestra del browser appaiono concetti, parole, gioie e dolori che siano i suoi o quelli di altri, e deve farlo bene perché mica uno su Internet è come davanti alla Tv che non fa altro che dire che “stasera non c’è un cazzo in televisione”. Uno su Internet ci trova talmente tanto, che già si fa prima a vedere tutti i film della storia del cinema piuttosto che a visitare tutti i siti che ci sono su Internet… Insomma, è più difficile catturare lo sguardo, la visione, l’occhio… merda! sto per diventare Enrico Ghezzi, …questi 33,6 Kilobit al secondo che frammentano e ricostruiscono la nostra visione, con questo occhio che non è più solo un occhio e questi corpi che non sono corpi… ma cosa gli è preso a quello? Una dissociazione ontologica? Bah, comunque su Internet i corpi non sono corpi, questo è vero. E mica ci si vede. Non parliamo delle quickcam poi che mi vengono in mente solo americani grassi che mentre ti parlano si mostrano sgroffanti intorno a un cumulo di pop-corn o di french fries con ketchup…
Voglio dire che se qualcuno mi dice che sono il webmaster del suo cuore, cosa significa? Che gli devo aggiungere i metatag con le keywords così Altavista (che viene smorfiato in Astalavista, motore di ricerca per siti pirata) lo cataloga meglio? Ma figuriamoci… Che coi tempi di caricamento non ci siamo, che la pagina è troppo pesante e l’aorta è stretta? Ma no!!! Chiariamoci ancora meglio: i cuori funzionano a fibre ottiche per tutti, il che sarebbe la goduria di tutti i webmaster, perché così ci metto dentro l’hard disk intero per fare il sito tanto è veloce. Sulle fibre ottiche ci fai passare quello che vuoi in un battibaleno! Perché si guardano!!! È luce! Chi l’ha detto che la tecnologia è disumanizzante? Balle. La tecnologia funziona come funziona l’uomo. E l’uomo è da quando esiste che va a fibre ottiche!
Io la voglio guardare negli occhi, Iena, e voglio che lei mi guardi! Con questo spirito gagliardo e questo alto proposito, presa forza e preso coraggio, la chiamavo venerdì pomeriggio. Basta, non rompiamo le balle, carte in tavola, ci vediamo o non ci vediamo?
Pugnalata n°1 della giornata del Signore ecc. venerdì 28 novembre 1997:
“Non ho tempo, questo fine settimana lavoro e poi lunedì parto a Napoli, poi vado a Roma che c’ho lì il denstista…”, per dire che, a parte il fatto che è demenza pura essere di Nuoro e studiare a Pavia e avere il dentista a Roma, sta in giro fino a venerdì prossimo che, si capisce, per me è una eternità invalicabile e mortale…
Fatto chiaro che io mi stavo attaccando alla canna del gas, e mossa lei da clemenza, mi propone di andare a Pavia domenica sera che stacca di lavorare alle nove, mangiamo qualcosa, parliamo, e poi a mezzanotte ti sbatto con tanti bacioni su un treno per Milano, e chi si è visto si è visto (e si è guardato… è quello lo scopo no?). Bene, va bene, ma dai facciamo così, ma figurati, ok, ora vado su Internet e controllo gli orari dei treni dal sito Fs e poi ti faccio una e-mail, eh? Così vediamo parliamo, ecc., che magari, boh, chenessà uno di cosa succede con la Razza Padrona?
Accendo il computer, vai con Accesso Remoto, handshake del modem, Netscape 4, via col bookmark puntato direttamente alla query dell’orario Fs. Primo: devo essere a Pavia alle nove: bene c’è un treno che arriva lì alle 20.43. Perfetto. Poi, dettaglio, dovrò tornare a Milano…
Pugnalata n°2 della giornata del Signore ecc. venerdì 28 novembre 1997:
C’è un treno alle 23.14 oppure uno alle 5.08.
Ma Cristo di un Budda, ma cosa è un complotto massonico-ferroviario contro di me? Si sono messi d’accordo col tipo del tram che non voleva essere guardato e tramite il mio amico sono risaliti a me? Ma come fa uno ad andare a Pavia per le nove, e fare e dire chissàcosa se già alle 23.14 devi prendere un robo per andare a Milano? In Italia si pensa e si fa tutto, orari dei treni compresi, per la gloriosa piccola e media impresa italiana, e quelli si lamentano pure!. E noi WebMaster del Cuore cosa siamo? Figli di Cristina d’Avena? Non siamo anche noi dei lavoratori? O adesso quelli coi capelli lunghi non sono più tossici e drogati ma perditempo su Internet?
Più che buttarla lì che non ero così cretino da starmene alla stazione ad aspettare quello delle 5.08 e che vabbè, dai freghiamocene dell’orario dei treni, ma dai, vengo lo stesso, poi sarà quello che sarà, magari sono così brillante da incantarti fino alle 5.08 del mattino e da vincere il tuo sonno, o magari si va sul tema porcherie, o magari fai già in tempo a mandarmi a cagare per le 23.14, che ti ho rotto, che mi facevi venire solo per farmelo capire… insomma… le ho in pratica detto che sì, ero così cretino da aspettare da solo alla stazione il treno delle 5.08.
Chiudo Internet e cosa faccio? Chenessò, da qui a domenica sera c’è un’eternità… e come mi passa? Passare già passa, che tanto c’è il mio fedele compagno Pc. E poi c’è anche la cucina. Esercizio di svolazzanti farfalline coi funghi e la panna, deliziose, insomma tu-tu-dum, ta-ta-dam, o come sono emozionato o come me la godo, o come sono deficillo! Inizio lì a pensare che arrivo a Pavia… e com’è la stazione di Pavia? Boh, io ci passo solo quando prendo il treno per andare a Genova per prendere la fetente Tirrenia per la Sardegna. Ma chi se ne frega della stazione? Piuttosto come arriverà lei? È che glielo leggo subito in faccia se mi vuole rispedire al mittente al più presto possibile o no. Poi ci sono anche le richieste di Giangy, chiedile allora che si combina a capodanno, se ha delle amiche carine, pensa anche ai parenti… Perché Giangy di tutta la faccenda lo tenevo un pelino informato nel senso che gli dicevo che la sentivo, ma lui poi ci metteva poco a fare due più due… Facciamo un bel flashback come in tutti i racconti che si vogliano dire tali. In pieno panico da totale mancanza di Donne io, lui e il Flatz, in quel di capodanno 1996-97, per stimolare gli animi e farci coraggio, stipulammo una scommessa per cui il primo che entro Pasqua avesse rimediato qualcosa di decente (da sottoporre all’insindacabile giudizio degli altri due), avrebbe avuto in premio una pizza pagata dai due rimanenti, appunto, bevande e coperto escluse (o forse c’era una birra 0,20 o coca cola, non ricordo). Giangy, che si sentiva in netto svantaggio, con spirito rabbinico, si affrettò a puntualizzare che la pizza era una margherita e basta. Il risultato complessivo fu che per Pasqua ovviamente nessuno aveva recuperato nulla, anche se io occultai l’esito delle avances di una tale persona che sono anche cavolacci miei e suoi di chi si tratta. A pasquetta, vai col liscio, una due e tre minchie in calata solitaria al mare a casa di Giangy a gurturiare(5) salsiccia e pane carasau. Questo per dire che a Giangy di passare un’altra festa comandata in un magazzino di minchie non va proprio (a me nemmeno) ed ecco quindi che spuntano richieste di arruolamento dappertutto e a chiunque, di esemplari di Razza Padrona.
Fine del flashback e neanche il tempo di digerire le farfalline ed esprimerne sonoramente il gradimento, che squilla il telefono. Cosa avevo detto all’inizio, eh? Che le Donne come i guai, non arrivano mai da sole. Ho fatto la frittata e ceravo di imbastirne due insieme? Ma va, già è un problema gestirne una, figuriamoci due, fantascienza. Ecco sì fantascienza, della serie “A volte ritornano”. E qui mi riservo una discreta dose di cazzi miei sulle varie circostanze che a scriverle non basta nemmeno Word97, e mi puntualizzo sul fatto che le relazioni sentimentali sono come i fumatori. Voglio dire, chi fuma o chi ha smesso di fumare sa che rimarrà comunque fumatore per tutta la vita, perché quel rotolino di tabacco, ecco, mica si riesce a levarlo dalla testa. Poi magari si fa finta di niente, ma non può essere indifferente. C’è gente che ha ripreso a fumare anche dopo cinque e dieci anni che aveva smesso… La controparte di relazioni sentimentali concluse è la stessa cosa. Si può far finta di niente, ma mica ci è indifferente. Questa poi è terminata poco meno di un anno fa, e ancora, se ci si mette d’impegno a rigirare il coltello nella piaga, sembra che sia passato un giorno e non un anno. Chiaro: il coltello lo si rigira e lo si tiene in due, se no che gusto c’è a farsi del male? Com’è che diceva la campagna della Telecom, allora Sip, nei primi anni ’80? “Il telefono, la tua morte?” Forse ricordo male, ma in queste circostanze non riesco a rammentare nulla di diverso da così. E quindi via, quasi due ore al telefono a rivangare, chiarire, specificare, spiegare, ritrattare, circostanziare, approfondire, rimestare, capovolgere, e, appunto, a farsi del male. Tanto che io non spesso verso delle lacrime, ma diobuono, quella sera ne potevo riempire la vasca da bagno. Credo che niente prima della morte sia capace di farmi star male come una Donna. Struggente, allucinante, mi spezza il respiro, non connetto più e mi abbandono al destino che non c’è. Mi sento un baratro dentro di quelli che non possono finire più e io ci cado e continuo a cadere sapendo che non finirà mai quell’angoscia di quel volo così triste. E mi porto la morte dentro al cuore.
Vabbè, si capisce che non mi piace scrivere di momenti del genere e che non mi riesce tanto bene, ma almeno due righe dovevo accennarle, altrimenti non c’è il quadro minimo di quel venerdì da cani. In preda allo strazio, tanto che avevo già chiuso il telefono per incapacità di parlare e poi ripreso passata la crisi… che altro succede se non che squilla il cellulare, quel fedelissimo Motorola 8700 che solo quando ce l’hai capisci quanto ti è utile alla faccia di chi ancora ti guarda storto perché hai il cellulare?
Unica gioia della giornata del Signore ecc. venerdì 28 novembre 1997:
Io rispondo in lacrime, e non è un modo di dire, era veramente così, e to’ chi ti becco? Non ci vuole molto a indovinare che era la mia piccola Iena. Sforzo: “Puoi richiamarmi tra qualche minuto che sono sull’altro telefono?”. Traduzione per i non intuenti: “sforzo” perché come faccio a chiederle di richiamare, quando sentire allora la sua voce inattesa era e rimarrà l’unica gioia di quella giornata? Ma lei con voce che quasi tremava che io non avevo mai sentito mi dice che non può richiamare, allora chiudo dall’altra e cosa aveva combinato la piccola Iena, ora impaurita e infreddolita? Non era, guardacaso a Milano, bloccata alla stazione di Rogoredo, che a quell’ora 0.20, non c’erano più treni per Pavia?!
Visto col senno del poi che questa domenica ovviamente sono rimasto a Milano perché oggetto dell’ennesimo bidone, non cambia granché, ma visto alla luce della mia deficillagine pura di dire vabbé che prendo quello delle 5.08 per tornare a Milano, questo fatto assume una portata metafisica.
Insomma, la piccola Iena mi chiedeva un cantuccio dove dormire, anche perché diceva che dal fratello, che sta a Milano, non c’era posto.
Capisco che una richiesta del genere avrebbe suscitato scariche ormonali di quantità inaudita in qualsiasi maialone sulla faccia della terra che si trovasse nelle mie medesime condizioni di dolce trastullo verso la donzella supplicante.
Ma c’è da fare un doppio ordine di considerazioni che rendono la suddetta situazione assolutamente anomala, se già non lo era di per sé.
Primo ordine di considerazioni, le più comuni:
1.    Che cazzo ci fa la piccola Iena a Rogoredo a mezzanotte passata?
2.    Che cazzo, viene a Milano, dopo avermi tirato quintali di pacchi, e dopo avermi
    ritagliato un cazzo di domenica sera striminzita (che sarà pacco anche quello), e
    nemmeno me lo dice o passa a farmi un cazzo di salutino?
3.    Ha pure la faccia d cazzo di chiamarmi a chiedere soccorso?
Preciso subito che questo primo ordine di considerazioni le ho esplicitate al solo fine di evitare che la situazione sembrasse irreale e il sottoscritto un deficiente tradizionale. L’unica risposta possibile a queste domande, dal mio punto di vista, è che non sono cazzi miei cosa ci faceva a Milano e perché non mi ha chiamato, che se una piccola Iena mi chiama impaurita e infreddolita io non le posso negare il mio aiuto, anche perché lei se mi chiama ha fiducia che glielo dia. Punto e basta.
E infatti le ho spiegato come arrivare a casa mia, che per la cronaca è dall’altra parte di Milano rispetto a Rogoredo… Lei mi dice che ha capito e che semmai mi richiama strada facendo. E bum si chiude. A quel punto? Aspetto? Eh, no mica posso aspettare. Qui entra in gioco il secondo ordine di considerazioni, che io ho dovuto compiere nel breve lasso di tempo di quella telefonata di emergenza. Perché mica c’ho scritto Bel Giocondo in fronte, che anzi quello che c’è dentro la testa funziona eccome, e come un qualcosa di diabolico non si fa prendere dall’emozione del momento e via che fa scaturire il colpo di genio.
Il secondo ordine di considerazioni è di carattere prettamente logistico:
1.    Ho già detto di possedere nel mio deserto dei tartari di casa che ho n°1 sedie
2.    A questo consegue, per il fatto che la forza di gravità funziona solo per le stronzate,              che posseggo ugualmente n°1 letti
3.    A questo consegue ancora che posseggo n°0 divani
4.    E ulteriormente, per tagliar breve, che l’unico posto dove si possa sperare di dormire              attualmente a casa mia è il mio unico letto.
Piano, piano, perché prima di scaldarsi e di darmi del serpente viscido e profittatore delle disgrazie altrui, l’elenco delle considerazioni continua:
5.    A 500 metri da casa mia abita un mio amico che per il weekend se ne torna a casa in              Svizzera. Insomma venerdì sera non c’era.
6.    Io posseggo le chiavi del suo appartamento.
7.    Nel suo appartamento sono presenti n°1 letti matrimoniali, e n°1 letti singoli.
Diciamo che ad essere scemi avrei potuto scegliere fra alcune banali soluzioni del tipo: lascio la piccola Iena a casa mia e io vado di là. Oppure: andiamo entrambi di là che il duplice letto va bene per qualsiasi evenienza. Ma queste sono, mi si permetta, scappatoie per chi è privo di fantasia e adatte per chi non capisce che l’importante è giocare e giocarsela sempre con stile, piuttosto che cedere alle rigide strutture di una realtà pronta e finita che può dare sicurezze, ma nulla di emozionante. E io ho architettato di giocarmela fino in fondo, e la mia strategia poteva anche costarmi di svegliarmi con la schiena spezzata il giorno dopo.
Comunque, avendo detto alla piccola Iena che l’avrei ospitata, ma non come, prendo il giubbotto, ci infilo il cellulare, apro l’armadio e tiro fuori il mio zaino da viaggio bello capiente, esco di casa e mi dirigo verso casa del mio amico. Arrivo lì, salgo gli otto piani in ascensore, apro gli otto giri di chiave cercando di non far casino che ci saranno i vicini che dormono, entro in casa, poggio lo zaino sul letto. Come si sarà capito, non sono mica uscito a cercare lucciole con le lanterne, che io se mi muovo non è per forza d’inerzia, ma per scopi e obiettivi precisi. Il mio obiettivo preciso è un megapiumone in casa del mio amico che so bene egli esserne in possesso, in quanto già io ebbi modo di usufruirne. Due armadi, presto fatto, non c’è nell’uno, infatti eccolo nell’altro. Manovra per metterlo dentro lo zaino, bisogna comprimerlo per fare uscire tutta l’aria. Fatto, chiuso, via, si esce, otto giri di chiave per chiudere e otto piano di ascensore all’ingiù e poi veloce a casa, che questa se per caso una volta mi chiama sul cellulare e una a casa e non mi trova poi chissà cosa pensa. Rientro a casa e appoggio lo zaino e non lo apro, che già la sfiga me la sono chiamata andando a prendere il piumone, se poi apro pure lo zaino siamo a posto… Insomma qual era il mio intento? Anzitutto dovevo sanare la situazione che se gli dico vieni a dormire a casa per poi fargli vedere che c’è solo un letto, non mi sembra carino e vabbè che mi è tornata la cretineria che l’avrei fatta dormire nel mio letto e io mi sarei girato i pollici tutta la notte sulla sedia, magari davanti al computer o piazzato per terra col giubbotto. Vabbè che poi si sarebbe, immagino, innescata una discussione del tipo che lei, essendo gentile, alla fine sarebbe stata in piedi con me che magari fra cucinare che aveva anche fame e computer e Internet, e chiacchiere varie e giro turistico della casa, la notte sarebbe anche passata, oppure, o anche, che a un certo punto ne hai voglia di inventarti le cose da fare e quelle da dire che crolli dal sonno e a letto ci vuoi andare e vabbè allora ci si accuccia da amici... Comunque non era carino. Per quello ho preso il piumone, che mi ci metto io per terra non preoccuparti, è per una notte mica per sempre, che sarà un po’ di maldischiena il giorno dopo, figurati, che se poi ti vuoi accucciare da amici e tutto il resto, va bene, che bello, succede lo stesso.
Non sono un ipocrita: se qualcuno viene a casa mia entra nel mio mondo bello brutto o vuoto che sia e non lo porto a casa di un amico, per quanto caro mi sia l’amico, e per quanto la situazione sia al limite. Per me abitare è vivere ed anche ospitare. Chi non è d’accordo vada affanculo, che non ho niente da spiegare, che con la piccola Iena ne ho parlato e sa cosa voglio dire.
Insomma coll’idea del megapiumone avevo genialmente risolto il dilemma preso per i due corni e piegato in quattro dentro uno zaino, il piumone e il dilemma. A questo punto è chiaro che io non avevo di per me nessuna intenzione scopereccia, ma come tutte le volte che mi viene la coglionite per una Donna, solo ansia contemplativa dell’estasiante creatura. Ovvero: se mi salta addosso non faccio come San Francesco con Santa Chiara, ci salto pure io, ma non era quello che certo mi assillava. A quel punto non mi squilla il cellulare? È lei? Ma manco per i coglioni. È quel mio amico del Pelato, che è in uscita serale dopo una settimana di lavoro e che vuole salutarmi e che ha un amico che ha dei cazzi con un masterizzatore di Cd. Ma dico io, consulenza informatica all’una di notte? Vabbè e tiriamola su, che poi il Pelato è uno in gamba che quello è un suo amico e mica gli posso chiudere il telefono dicendogli che m’arriva una tipa a casa che il giorno dopo lo sa tutta Milano. E via che problema c’è, che il masterizzatore nuovo di zecca un Teac CR55SX, c’è Easy Cd che non me lo vede. E che versione hai, ma il software era col cd, no ce n’era un altro che non serviva a una cazzo, e guarda non è che io ti sappia dire tanto che il masterizzatore non ce l’ho, comunque vado su Internet a vedere sul sito della Teac e su quello dell’Adaptec che produce Easy Cd per vedere se dicono qualcosa. Che poi ci sono anche andato e Easy Cd in effetti non supporta quel masterizzatore lì, e devo anche chiamarlo per dirglielo.
Insomma metto giù. Passano dieci minuti che risquilla il cellulare che cazzo che se non è lei mando affanculo chiunque mi chiami, e invece è lei, e ma Cristo di un Buddha, che voce rilassata che ho capito subito che quella era l’unica conclusione plausibile per un Venerdì da cani. Poteva anche non dirmelo che era dal fratello che il mezzo che gli avevo detto da Rogoredo passava dopo mezz’ora e che aveva preso un taxi che transitava di là.
Che io mi sono incazzato e mi dispiaceva che lei se ne accorgesse, ma non ero incazzato con lei ma con questo mondo ladro e avaro che nemmeno quello che il caso mi aveva dato mi lasciava in mano.
E le domande tenetevele che quando si soffre così tanto in un sol giorno non ci sono mai risposte.
La legge di gravità funziona solo per le stronzate.















Note:

1 - Fabrizio Coli, artista aereo contemporaneo, già allievo di Marcel Duchamp (torna)
2 - “Barrasone”: non conosco bene l’etimologia di questo termine nuorese, comunque azzarderei che può significare da “cassa da morto” a genericamente “contenitore grosso, pesante, ingombrante e scomodo da trasportare”. In fondo, mi appello al principio d’uso della lingua, del secondo Wittgenstein (torna)
3 - In nuorese: “assaggiare, assaporare”. Ma per lei potrebbe anche significare: “ingurgitare” (torna)
4 - In nuorese, malamente traducibile con “grande, enorme” (torna)
5 - In nuorese: “il gurturio” E’ l’avvoltoio, quindi “gurturiare” significa mangiare come un avvoltoio (torna)

 

 
Dicembre 2006

 

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