NUMERO 7
AGOSTO 98
 

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ALESSANDRA BUSCHI
 

Fra i racconti al femminile apparsi nel numero scorso, particolare apprezzamento ha ottenuto "Lo Scamorza" di Alessandra Buschi. Ecco quindi, al volo, un nuovo racconto, scritto appositamente per 'tina.
Sono stato un po' indeciso se inserirlo in questo numero o in quello delle stranezze, perché in effetti inizia come un racconto normale, ma poi si trasforma in una curiosa meditazione sul tema della visibilità pubblica.
Alla fine ho deciso di lasciargli questa collocazione da racconto vero e proprio perché in queste righe il gusto per la narrazione prevale sulle anomalie del contenuto, e poi perché, forse senza farlo esplicitamente, una storia Alessandra la racconta davvero, ed è un frammento della sua infanzia.

  Invisibilità

Questa è la storia di Gennarino che diventa invisibile, e se dico invisibile vuol dire che proprio nessuno può vederlo.
Molti di quelli che leggeranno questa storia crederanno che la mia sia tutta un'invenzione, in quanto è difficile immaginare che Gennarino possa davvero essere diventato invisibile. In certi casi infatti è naturale essere scettici, e ai più sembrerà impossibile si possa affermare che "questa cosa, questa persona sono invisibili" proprio per il fatto che, essendo invisibili, non le si vedono.
Quindi: come si fa a dire che qualcuno o qualcosa che non si vede è invisibile?
Trovo curioso immaginare l'individuo che, per primo, ha inventato questa parola o che – meglio – è riuscito a elaborare il concetto che è stato poi reso sotto il nome appunto di "invisibilità". Io credo infatti che ci possa essere stata una confusione iniziale in tutta questa faccenda, nel senso che il concetto di invisibilità dev'essere nato dopo che qualcosa che era fino a quel momento considerato invisibile si sia improvvisamente reso visibile agli occhi umani.
Fa' conto i microbi: noi adesso diciamo che i microbi non sono visibili a occhio nudo, intendendo dire che, vestendo l'occhio di una lente apposita e potente, possiamo vederli circolare di qua e di là dappertutto e tranquillamente come niente fosse, ignari del fatto che noi umani abbiamo inventato un coso apposito per spiare la loro vita privata. Se ora noi possiamo affermare con certezza "i microbi non si vedono a occhio nudo", probabilmente però i nostri progenitori, vissuti prima dell'avvento del microscopio, avranno incluso i microbi tra ciò che era invisibile, in quanto impossibilitati a vederli.
Ma – mi chiedo – può essere accaduto davvero in passato che uno qualsiasi dei nostri antenati si sia dato pena di affermare "i microbi sono invisibili" quando non era ancora venuto a conoscenza della loro esistenza? Voglio dire: si può inventare di sana pianta un concetto senza averne la prova? E, anche volendolo, come si farebbe ad avere la prova che l'invisibilità esiste, visto che si tratta di invisibilità e che quindi, se invisibile, non si può vedere?
Certe volte quindi, come nel caso dei microbi, sono stati il tempo e la tecnologia a dare prova tangibile di un mondo che fino a quel momento era considerato invisibile ma che poi, con le conquiste del progresso, ha perso quella qualità e si è automaticamente trasformato in un qualcosa di "non invisibile", cioè in un qualcosa che, sebbene non visibile a occhio nudo, è comunque in un certo modo visibile. Soltanto molto molto piccolo, che è diverso.
Adesso: il fatto è che il discorso potrebbe andare a finire molto lontano, passando dall'antimateria su su fino ad arrivare al misticismo; ma per la storia di Gennarino non ho intenzione di arrivare troppo in là, anche perché è facile in questi casi cadere in quel che rientra nel campo del "mistero", che è un'altra parola che contiene un concetto molto difficile da capire, se vuoi curioso, di sicuro impalpabile, avvolto appunto di mistero, cosicché questa storia sarebbe un'altra storia, tutta diversa, e non è questa la mia intenzione.
Allora c'era Gennarino, e lui era invisibile. Il vantaggio era che Gennarino era invisibile non perché era morto ed era diventato uno spirito, cioè un'anima che per una qualche strana ragione aleggia attorno a noi – vuoi per punizione divina o cose del genere, vuoi perché è di gran moda adesso, pare, inventarsi storie basate su anime vaganti e bonaccione, niente a che vedere con i fantasmi di una volta, di quelli cattivi che di mestiere facevano paura – bensì Gennarino era vivo. E questo era un bel vantaggio per lui, visto che, oltre a essere invisibile, era pure un essere vivente.
Come questo sia accaduto, io non lo so. Fatto sta, Gennarino prima c'era, poi non c'era più.
Adesso: chi non ha mai fantasticato, da bambino, sul fatto di diventare invisibile? A parte gli input dati dalle serie televisive – che seguivamo la domenica pomeriggio a bocca aperta, immersi in una vera atmosfera di mistero, dove personaggi diventati invisibili si scapicollavano in missioni che sembravano impossibili – e la letteratura fantastica – che sollecitava la nostra immaginazione, pagina dopo pagina, facendoci sognare a occhi aperti – a parte questo: chi non ha mai fantasticato, una volta a letto, la testa sotto il cuscino, di diventare, magicamente, improvvisamente, inaspettatamente, invisibile?
Ci speravo, quasi, che questo potesse accadere. Adesso c'ero, puf, adesso non c'ero più. Ma, anche se invisibile, era come ci fossi ancora, perché mi muovevo, parlavo, sentivo, toccavo e spostavo le cose, andavo di qua e di là come mi pareva e piaceva.
Il punto è: che cosa farebbe uno che improvvisamente si ritrovasse invisibile? Quando ero bambina pensavo agli scherzi che avrei potuto fare: è la prima cosa che ti viene in mente, non so per quale motivo. Una cosa idiota in realtà, visto che non si capisce perché uno che diventa invisibile dovrebbe utilizzare il suo incredibile potere solo per questa stupida attività. Non può essere questo il fine che si può raggiungere diventando invisibile: non può essere questo l'unico scopo dell'invisibilità. E poi – pensavo – una volta sbizzarritami in ogni tipo di scherzo a questo o quell'altro familiare – vuoi per semplice divertimento, vuoi per soddisfare in modo subdolo e gratificante un qualche desiderio di vendetta – ed essere poi passata a far scherzi a destra e a sinistra a tutti quelli che mi capitavano a tiro, iniziando dai compagni di scuola e via discorrendo; allora: una volta esaurito tutto il repertorio di scherzi che mi sarebbero venuti a mente, cosa avrei fatto da persona invisibile che ero diventata?
Inevitabilmente allora, giunta a questo punto, nel mio lettino, le coperte tirate fin sopra le orecchie, ancora sveglia, il mio fantasticare prendeva tutta un'altra piega.
Del bene: un essere invisibile doveva fare del bene. Era questo lo scopo del suo essere invisibile: fare del bene agli altri. E allora la fantasia mi abbandonava per tramutarsi in un vago sentimento umanitario dove c'ero io – invisibile, buona – che vagavo per il mondo ad alleviare le pene di chi soffre. E per di più, in incognito: perché chi avesse avuto la fortuna di beneficiare della mia bontà non avrebbe mai saputo chi era stato a elargire tutto quell'improvviso benessere come fosse manna dal cielo.
I poveri avrebbero avuto soldi a sufficienza per sfamare i loro figli, gli infermi avrebbero avuto le cure necessarie, le guerre non si sarebbero più fatte, nessuno avrebbe più sofferto la fame, le persone tristi si sarebbero rallegrate, perché io, invisibile, buona, benefattrice, avrei fatto in modo che la loro vita fosse diventata lieta, allegra, piacevole.
Praticamente un super-io che esplodeva, cercava gratificazione mascherato da uomo invisibile, dove io, al centro del cosmo intero, ero comunque presente, non vista ma essenziale. Praticamente un egocentrismo pazzesco, la figura di un dio buono e femmina dispensatore di felicità che rimaneva nell'ombra, invisibile appunto agli occhi umani, ma che eppure c'era, agiva, poteva.
A questo punto la nuda e cruda realtà: no, il mio era solo un sogno: non avrei mai acquisito quei poteri, e la gente avrebbe continuato a morire di fame e di guerre, i figli poveri della gente povera avrebbero continuato a vivere poveri; i malati, malati; i tristi, tristi. No: era impossibile. A meno che.
E allora pregavo: che potessi diventare invisibile. Perché forse ancora una possibilità c'era; perché forse solo quella persona avrebbe potuto far avverare il mio sogno.
A volte piangevo, cercando di rendere più forte con la commozione questo mio desiderio: perché venisse esaudito, perché potessi davvero sparire ma esserci; e non lo chiedevo per me, ma per gli altri, per il bene dell'umanità intera, per il pianeta terra.
Avevo pregato altre volte perché un miracolo si compisse: talvolta era stato per motivi stupidi – adesso lo ammettevo – tipo: che la mia bambola Patatina diventasse animata, cioè una bambina in carne e ossa che sarebbe per sempre rimasta con me, sempre piccola, sempre sorridente, sempre amica; oppure tipo: che mi venissero alfine le mestruazioni, ché due mie compagne di classe già le avevano avute, e allora fa' che vengano anche a me entro l'anno, che questo vuol dire diventare signorina e diventare signorina sembrava essere una cosa davvero speciale; oppure tipo: cose che è meglio non sto qui a spiegare perché si tratta di miracoli che non si sarebbero mai potuti compiere (questioni non stupide, queste, ma di sicuro delicate, di famiglia per intenderci) e che difatti non si sono in realtà mai compiuti.
Ma stavolta il miracolo che chiedevo era una cosa seria, non una stupidaggine: fare del bene non era uno scherzo. Del resto, a ben vedere, mi votavo al sacrificio: avrei donato la pace senza rivelare la mia vera identità, ricavandone null'altro in cambio se non la gratitudine dell'umanità resa felice dal mio intervento (detto niente).
Per quanto riguarda la bambola Patatina, invece di ritrovarmi improvvisamente in compagnia di una bambola parlante e ragionante, mi ritrovai, verso i cinque anni e mezzo, una bella domenica di settembre, una sorellina nuova nuova. Per quanto riguarda le mestruazioni, queste vennero, ma per forza di cose, perché prima o poi nella vita di una ragazzina le mestruazioni arrivano. Invece, per quel che riguarda l'invisibilità, io non l'ho mai avuto, questo miracolo, e non so se è il caso, a questo punto, di sperarci ancora.
Gennarino invece invisibile c'era diventato davvero. Sul serio. Non so perché, comunque prima c'era, poi non c'era più.
Io non l'ho mai conosciuto, nemmeno quando non era ancora invisibile, però mi piacerebbe sapere come ha fatto a perdere la sua visibilità, e anche sapere da lui come usa questa sua capacità, eccetera eccetera. Insomma, se potessi parlarci – ma questo implicherebbe lo vedessi e potessi comunicare con lui, per cui a questo punto Gennarino l'invisibile non potrebbe più essere considerato tale – gli farei un mucchio di domande.
L'unica cosa certa è che questa è la storia di Gennarino che diventa invisibile. Altro non saprei dire. Perché io Gennarino non l'ho mai visto: lui, è invisibile davvero.


 

 
Dicembre 2006

 

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