Ilaria Bernardini, Questa mattina ho idea che ti ho perso

Se ‘tina fosse un’audiorivista allora tutti riconoscereste immediatamente la voce di Ilaria, abituati come siete a sentirvela spuntare dal televisore di casa attraverso gli spot promozionali di MTV o quelli dei telefonini 3. Invece, essendo una semplice webzine, la sua voce (quella letteraria almeno) al momento è destinata a sembrare inedita al pari di un qualsiasi altro esordiente. A un soffio dal debutto in libreria con un romanzo molto bello, molto generazionale e molto femminile, Ilaria ha scritto una serie di racconti brevi e sorprendenti, fra cui questa storia di un amore perduto, nel senso più letterale del termine. C’è tanta ironia e disperazione in queste righe e c’è un’idea di fondo semplice ma molto efficace. Le cose, insomma, che da sempre piacciono a ‘tina.

QUESTA MATTINA HO IDEA CHE TI HO PERSO

Questa mattina ti ho perso. Ho guardato da tutte le parti, vicino al tavolo, dietro il letto, sotto il tappeto. Mi sono sporta fuori dalla finestra , ho guardato nell’ascensore, ho svuotato l’armadio blu. Niente, non ci sei più. Con tutte le mani, i piedi e la tua pancia. Sei andato via, tu e il tuo nome, l’alito e il tuo timbro di voce. Sono rimasta seduta in anticamera per mezz’ora, sembravo un ebete. Piccolo non sei, quindi se fossi qui ti vedrei. Per essere uno scherzo è durato troppo e di certo non sei andato al bar a comprare le brioche perché oramai è sera e non avrebbe più tanto senso. Lo sai, le brioche che comperi al bar prima di cena sono avanzate dalle sei sette del mattino, sono acide e dure e se non ci fossi tu a comprarle, perché magari hai fame o magari ancora una volta vuoi verificare se l’esperienza finora ti ha ingannato, cinque minuti dopo finirebbero nel cestino dei rifiuti. Le brioche non durano, sono subito vecchie. E’ una cosa di cui abbiamo parlato. Quindi ho capito che ti ho perso.

Per fare ordine mi sono messa d’impegno e ho mangiato tutto quello che c’era nel frigo compresa la maionese, le alici, le sardine e i capperi che abbiamo preso l’anno scorso a Salina e non avrei pensato di usare mai. Ho svuotato la dispensa e mi sono riscaldata tre nastrine, ho finito le scatolette di tonno e ho divorato tutti i grissini, cracker, schiacciatine e taralli che c’erano. Ho cucinato il sugo per la pasta e ho preparato sei barattoli di conserva che ho messo in freezer. Stanno bene a vederli tutti così, rossi nella neve del friggider. Mi sono succhiata le caramelle dietorelle e anche quelle anice e liquirizia che ci ha portato la Fede da Amsterdam, quelle dissetanti che se ne stavano sotto il libro della cucina regionale campana da sette mesi o di più. Non erano buone e si vedeva anche senza assaggiarle.

Ho usato le lenzuola tutte assieme e adesso sul letto c’è un bel groviglione, una matassa tutta fatta di colori di cotone ikea o prestigiosi corredi di salerno datati millenovecentoventi. Mi sono anche messa i maglioni uno sopra l’altro e ho provato a salutare le persone per strada ma con tutta quella lana addosso mi veniva da piangere per il caldo e neanche riuscivo ad alzare il braccio. A un certo punto mi è anche sembrato di svenire e mi sono messa sotto al doccia per darmi una sferzata di freddo e per cambiare l’umore che da tetro è diventato ghiacciato ferro di seggiovia.

Mi sono tolta i peli e le sopracciglia e ho tutto il pube nudo che mi sembra un taglietto sotto la pancia, e non lo vedevo così da quando ero ancora piccola, da quella volta in cui ho scovato il primo pelo e ci tenevo così tanto che lo stringevo sempre tra le dita tanto che poi camminando verso il bagno, zac, l’ ho fatto fuori e ho pensato che avevo rovinato tutto e che di diventare donna oramai non se ne parlava più visto che avevo cambiato il corso della natura, perso il treno, invertito gli eventi vari e diversi della vita. L’avevo presa male ma niente a che vedere con stamattina che mi immagino fossero le sei quando sono andata a fare la pipì e tu non c’eri già più a chiedermi dove vai? E io che ti rispondo solo : pipì. E con quello intendo , niente di che, vado solo a farla che non riesco a tenere le gambe strette fino a mattina, sono ore che i sogni si sono confusi per via della pipì. Già lì alzandomi mi sono insospettita, ho sentito una certa nausea ma poi ho fatto quello che dovevo fare e sono tornata nel letto pensando che magari eri in sala sdraiato sul divano perché io avevo russato o perché tu avevi avuto uno dei tuoi attacchi d’ansia in cui devi tenere la luce accesa per vedere il mondo e non perdere di vista le dimensioni della vita.

Ho dormito ancora un ora e poi è suonata la tua sveglia. La prima volta l’ ho lasciata suonare, ma questo lo facciamo tutte la mattine, tanto sappiamo che possiamo concedercelo. La seconda ti ho detto uffa e la terza mi sono messa seduta sul letto e l’ ho spenta io. La luce era già cambiata e mi sono insospettita perché anche l’abat jour è abituata a illuminare te e me e quindi anche lei non sapeva come regolarsi. Buttava fuori una luminescenza tutta nuova. Mi sono alzata piano, un piede per volta, per fare finta che ancora nessuno si fosse svegliato e per fare come se anche io dormivo ancora e fingere che quel fantasmino con la camicia da notte era qualcuno che non ero io. Ma poi sono passata davanti allo specchio in corridoio e mi sono vista passare e da lì la magia è finita.

Non so più dove fare spazio, a quest’ora , quando la sera arriva e io non conto neanche più quante dita mi restano e quanti secondi mi avanzano dall’inizio del prossimo respiro. Ho allontanato i libri e portato la televisione in cantina, dietro al divano ho trovato una biglia e una bic, di quelle rosse che comperi tu a decine. Lì dietro si è formato un alone nero sul muro e chi lo sa perché e forse se io non ti avessi perso e cercato non l’avrei mai scoperto che i muri cambiano e si fanno così bruni che neanche vicino a una ciminiera. I pacchetti di sigarette finiti li ho buttati e mi sono messa in testa tutte le mollette che ho trovato. Ho cercato anche nella testa e zac, ho dovuto tagliare via tutto. Non ho più un capello e continuo a toccarmi la pelle che mi sembra sia arrivata solo oggi per dirmi una cosa nuova di me. Ho alzato qualche piastrella in bagno che magari l’umidità ti aveva disciolto e tu ti eri distratto nell’ acqua calda della doccia, ma niente, neppure lì. Nessun vapore acqueo che avesse i tuoi occhi.

E’ colpa mia che non so essere ordinata e che perdo gli anelli, gli occhiali e le sciarpe tutti i giorni. E’ che ora che ci penso, non mi ricordo neanche se ti avevo portato a casa o ti avevo lasciato al ristornate, o vicino al cinema o chissà dove e allora ecco che ripercorro ancora una volta tutte le ultime cose che ho fatto ma non mi ricordo mai qual è l’ultima cosa che ci siamo detti come quando ero indecisa se il bancomat l’avevo lasciato nella biglietteria automatica di Bologna o allo sportello della banca commerciale di Milano in ventidue marzo. E’ che quando ti dimentichi è perché con gli occhi e la testa non ci sei e quindi non puoi tornare a un evento che non hai registrato con nessuna parte di te. A questo punto non so più se cercarti qui o correre nelle strade di città a chiedere se qualcuno ti ha visto, se qualcuno ti guardava mentre magari io me ne stavo a fare chissà cos’altro e mi perdevo lontano da te. Se qualcuno aveva occhi più vicini per te, di me che chissà dove me ne andavo, con le gambe tutte storte e il collo piegato in avanti. Forse mi arrotolavo la sciarpa fino al naso e pensavo solo a me, alla solita tonsillite e alle mie magagne di quando fa freddo e ho lo spleen e prendo poca vitamina c.

Io continuo a cercarti, che non si sa mai e se tornerai mi troverai tutta senza oggetti e peli e mobili e capelli e io saprò dove metterti per dirti che guardo solo te, che non c’è nessuna altra cosa dietro cui non ti vedo. Ti chiederò scusa per gli occhi gonfi e ti dirò che non sei per niente come un anello o una sciarpa dimenticata al cinema e a quel punto credo che sorriderai.