Emanuele Kraushaar, Tic (6 micro-racconti)

Un libro notevole (e ingiustamente sottovalutato) della produzione italiana recente è “Maria De Filippi” di Emanuele Krahusaar, una sorta di campionario dei partecipanti alla trasmissione Uomini e donne attraverso un centinaio di micro-racconti: un mosaico di vite alla ricerca di redenzione in forma di fama televisiva.

La dimensione breve, brevissima è congeniale a Kraushaar, che dopo quell’anomalo romanzo ha prodotto altre raccolte (al momento ancora inedite) composte da racconti flash: veri e propri lampi di luce in grado di illustrare in un breve attimo intere vicende, che aprono nella mente del lettore ventagli di possibilità. L’autore ne ha concessi cinque a ‘tina, che trovate sparsi fra le pagine di questo numero.

Emanuele Kraushaar, Tic (6 micro-racconti)

Come se fosse un essere lontano

Non so perché, ma quella ha incominciato a telefonarmi una volta a settimana. In realtà non le avevo dato più di tanta confidenza, ma davanti al capo non potevo certo essere freddo con lei: era pur sempre una giornalista del Messaggero ed era meglio tenersela buona.

Per questo le avevo dato anche il mio biglietto da visita.

Certo non potevo prevedere le sue telefonate settimanali. Questo no.

E poi aveva quella voce fastidiosa, ma era quello che mi raccontava che non riuscivo proprio a digerire: una volta l’orzaiolo, l’altra il taglio al dito sbucciando una pera e poi la madre che partiva da sola per la crociera sul Danubio.

Per questo ho incominciato ad ascoltarla, se così si può dire, girando la cornetta del telefono. In questo modo la sua voce sembrava totalmente diversa, come se mi chiamasse da un altro pianeta, come se fosse un essere lontano anni luce dalla mia realtà. Non capivo quasi niente, ma ogni tanto dicevo “sì” oppure “certo”.

Intanto non collegavo più la voce che mi arrivava a quella della giornalista che avevo conosciuto.

E ieri, che era già una decina di giorni che non la sentivo, l’ho chiamata io.

 

Già lo sapeva

 

Ho conosciuto Luisa Felici qualche anno fa. Portava i capelli corti a quei tempi ed era ancora una ragazzina, ma faceva la sua gran figura anche allora.

Tutti la guardavano quando passeggiava sulla spiaggia con la mano allacciata a quella del fratellino. Io lo invidiavo il fratellino e avrei voluto darle io la mano e accompagnarla per tutta la spiaggia.

Due anni fa sono riuscito a stare un po’ da solo con lei e ho tirato fuori un discorso che avrebbe cambiato il nostro rapporto futuro.

Me lo ricordo come fosse oggi quello che le ho detto.

Una serie lunghissima di parole che finiva più o meno così: “Mi piaci Luisa e quando ti vedo quasi non riesco a respirare”.

“Già lo sapevo” mi aveva zittito lei e di lì a poco si sarebbe alzata, prima di lasciarmi solo al tavolo del bar, con un magone dentro che pesava e mi faceva stare fermo.

Quel discorso mi impedì di starle vicino di nuovo, perché incominciò a sfuggirmi come un’anguilla. Intanto anche io scappavo per non alimentare il mio fallimento.

Era una fuga reciproca e così praticamente non ci siamo più parlati.

Fino all’altro giorno. Ero sulla spiaggia che leggevo e lei mi si è avvicinata.

“Cosa leggi?” mi ha chiesto.

Ma io non ho trovato la forza di rispondere e mi sono nascosto tra le pagine del mio libro.

 

Allo stesso livello

 

Da qualche giorno mia sorella si sta allungando. La prima volta che ho notato questo fenomeno è stato lunedì sera. Lei è venuta a trovarci per passare qualche ora con me e la mamma. Ci ha parlato un po’ di quelle sedute di preghiera collettiva a cui sta partecipando. Oltre le finestre della sala c’era un grosso temporale, ma in famiglia si sta bene. Finché c’è la mamma tutto sembra lontano e passeggero.

Queste cose le penso anche adesso che ho quasi trent’anni e non mi vergogno ad ammettere che passerei tutta la vita incollato al divano della sala, accanto a mia madre e mia sorella a parlare di qualsiasi cosa.

“E quel ragazzo di cui ci avevi parlato?” ha chiesto la mamma ad un certo punto. È stato proprio in quel momento, mentre mia sorella rispondeva: “È molto gentile con me e ha una gran forza di preghiera” che mi è sembrato che si stesse allungando.

La sua testa mi è parsa quasi irraggiungibile. Poi ho cercato protezione negli occhi della mamma: quando la guardo non ho paura di niente. E anche se ho quasi trent’anni, non ho nessun problema a dirlo.

Mia sorella vive da sola da quasi tre mesi. Non ci ha mai presentato a casa un fidanzato, ma da qualche tempo parla sempre di questo ragazzo della preghiera collettiva.

E forse è proprio da quando fa queste preghiere che si sta allungando.

Poi l’altro giorno è tornata e l’ho vista alta e irraggiungibile. Per baciarla ho dovuto mettermi sulle punte.

A dire la verità, questa storia di mia sorella non mi dà pace.

Vorrei parlarne con la mamma, ma certi discorsi è difficile tirarli fuori anche con lei. Poi credo che non si sia accorta di niente. Da quando mia sorella vive da sola, la mamma è contenta e serena e non voglio darle nessun problema.

Mi terrò dentro questa mia sensazione, finché la cosa non sarà evidente. E credo che presto sarà visibile a tutti che mia sorella è altissima.

Sabato, andando via, ha quasi sbattuto la testa sulla porta e vedendola allontanarsi in macchina mi è sembrata piegata su se stessa.

Io esco poco di casa e non ho una fidanzata. L’ultima volta che ci ho provato con una ragazza è successo anni fa. Fu con la bionda della biblioteca.

“Hai degli occhi blu che mi piacciono” disse fissandomi.

“Hai uno sguardo intelligente e dei capelli forti” aggiunse.

“Ma sei troppo basso per me” concluse, mentre mi sentivo come schiacciato a terra, quasi allo stesso livello del pavimento, quello della polvere e degli esseri invisibili.

 

 

Anaconda

 

Odio le domeniche di sole. Per questo di solito mi chiudo nella mia stanza e mi metto davanti alla televisione. Ogni tanto guardo l’orologio attaccato alla parete sperando che la notte arrivi presto. Il sole preferisco non averlo come punto di riferimento. Meglio le lancette.

Ovviamente non sto a sentire più di tanto le parole che dicono in televisione. Cerco di non pensare, anche se è impossibile. Spero di addormentarmi, ma non mi succede mai prima che sia notte fonda. Guardo l’orologio nervosamente e le lancette sembrano spostarsi a fatica. Cambio canale continuamente: niente riesce a rapire la mia attenzione per più di qualche secondo.

I miei desideri sono svaniti nel nulla qualche anno fa. Non ricordo bene come sia accaduto e forse non è nemmeno accaduto. È che sono così dentro e non c’è niente da fare.

Un desiderio in effetti ce l’ho: che finisca la domenica e ricominci la settimana di lavoro. Almeno in ufficio c’è qualcuno che mi dice cosa fare, dove andare, come fare.

Ecco, come fare è sempre stato un problema per me.

Cambio canale: sullo schermo appare un tipo che sta in canoa su un fiume di fango alla ricerca di serpenti giganti.

Ha gli occhi che brillano, mentre parla di questi rettili mostruosi.

Io credo di non aver mai avuto quella luce sul viso.

Vorrei che l’anaconda sbucasse dallo schermo, si infilasse nel letto e, insieme al mio corpo, stritolasse i pensieri che da anni mi inseguono, senza darmi tregua.

 

Con quel caldo

 

Non che avessi molte cose da fare, ma in effetti uscirmene così di colpo, con quel caldo…

Fatto sta che mi ritrovo a guidare e a chiedermi: “Dove diavolo sto andando?”, quando vedo una ragazza bionda, carina e sudata alla fermata dell’autobus.

Fermo la macchina, cosa che non avrei fatto in un momento tranquillo della mia vita, e chiedo: “Vuoi un passaggio?”.

La ragazza – da vicino, noto i suoi occhi azzurri e attraenti – mi guarda, sbuffa e dice: “Sto andando a graffiare delle persone”.

Apro lo sportello con il cuore che mi pulsa forte.

“Accomodati” dico, prima di premere sull’acceleratore.

 

Esco da una storia

 

“Proprio non so che farmene di tutti questi soldi” dico.

Le banconote sono sul tavolo. Impilate ordinatamente, emanano una luce attraente.

“Comprati una bella barchetta!” esclama Renato Forti, che è un tipo da tenere alla larga, anche se ti offre un mucchio di denaro.

“Guarda, io non voglio questi soldi, proprio non mi servono” dico.

Renato Forti si accende una sigaretta, il suo sguardo si fa cattivo e minaccioso.

“Ce l’hai una donna? In questa casa manca una donna!”.

“Esco da una storia difficile…”.

Esco da una storia… Ma sei scemo? Hai trent’anni e mi parli di cose del passato!”.

“Va bene, dimmi cosa devo fare allora. Con i soldi mi compro una barca e mi trovo una donna che venga in barca con me e che illumini questa casa”.

Renato Forti, che non ha compiuto ancora trent’anni, ma ha un passato chilometricamente burrascoso, sorride.

“Mi devi sparare” dice, mentre posa una pistola sul tavolo, proprio accanto alle banconote.

 

Di nuovo

 

L’altro ieri, che era venerdì e che avevo fatto solo mezza giornata di lavoro, sono tornato a casa e il muscolo del mio braccio sinistro ha iniziato a tremare. Per questo, ho chiamato mia cugina che abita nella mia stessa via.

Mia cugina si chiama Elisa ed è una che se hai un problema viene subito in soccorso. Questo è quello che si dice di lei, ma l’altro ieri, dopo che le avevo detto del braccio, non è più passata.

Poi in effetti la cosa del braccio non era niente di grave, forse un po’ di tensione nervosa, fatto sta che mia cugina Elisa non mi ha più chiesto niente ed io mi sono ingoiato il mio rancore.

Un paio di settimane dopo ho saputo che si sarebbe sposata: mi ha telefonato mia zia e me lo ha detto come si comunica un decesso.

E ha anche aggiunto che non sarei stato invitato al matrimonio, perché era saltata di nuovo fuori quella storia successa anni fa tra me e sua figlia.

 

Come se fosse primavera

 

Le sono corso dietro per giorni, che sono diventati anni e poi decenni. Lei era sempre davanti e io dietro.

Ho avuto altre storie, solo per gettare via il seme, anche se i pensieri più puri (e anche quelli più sporchi) li ho tenuti dentro solo per lei.

La vedevo camminare sul ponte, attraversare strade, incontrare persone, respirare lentamente, come solo lei sai fare, perché solo lei – per quel che ne so – è capace veramente di fermare il tempo.

Ho seguito i suoi passi anche quando faceva freddo, quasi si gelava, e lei continuava ad andare avanti senza fermarsi, sempre vestita come se fosse primavera.

Poi è arrivato quell’orientale, quello con i capelli tutti sulla fronte, che diceva di essere della Corea del Nord, ma secondo me era della Corea del Sud.

“Non ho mai incontrato uno della Corea del Nord” ha detto e poi si è accesa una sigaretta.

“Adesso fumi?”.

“Lui fuma e a questo punto fumo anche io”.

Così ho visto quella voragine enorme che si schiudeva di fronte a me e aveva la forma dei loro corpi uniti per sempre; e tutto è finito senza essere mai iniziato.

 

 

Il pagliaccio

 

Io mi faccio chiamare il pagliaccio, perché vado sempre in giro vestito da pagliaccio.

Mi piace che tutti mi chiamano il pagliaccio, perché solo così mi sento me stesso, anche se in realtà non sono un pagliaccio, nel senso che non lavoro in un circo o alle feste per bambini, anzi di solito vado in giro di notte e la gente che mi vede si spaventa a vedermi così.

Questo però non mi interessa: io lo so che non faccio niente di male, anzi so bene che il problema è loro e poi per me l’importante è che mi chiamano il pagliaccio.

Pure se hanno paura me ne frego, anche perché dovrebbero temere molte altre cose, che invece sembrano farli stare tranquilli.

Per esempio il signor Fernando, il mio vicino di casa, ha un lavoro giù alla discarica che lo ammazzerà presto, ha una moglie che ringhia dalla mattina alla sera e secondo me lo picchia pure, ha una figlia che è sparita da un paio d’anni e una volta la polizia è venuta pure a farmi delle domande, pensando ci fossi di mezzo io.

Quella mattina, il poliziotto si sforzava di non ridere, mentre la sua collega dagli occhi tristi si era spaventata, perché quando erano entrati in casa stavo facendo colazione vestito da pagliaccio.